E ora dove andiamo?

di Nadine Labaki
Francia-Italia-Egitto-Libano 2011, Drammatico, 110 min
Scheda di: 
Fascicolo: gennaio 2016
I fatti sono ambientati in Libano, all’interno di un villaggio completamente isolato fra i monti, dove comunità cristiana e musulmana riescono a convivere in armonia. Alla notizia delle lotte religiose diffuse nel Paese, però, la tensione inizia progressivamente a crescere e la prospettiva di un conflitto definitivo appare ineluttabile.



Nel 1907, nel suo L’evoluzione creatrice, il filosofo francese Henri Bergson così scriveva: «l’ordine esiste, è un fatto. Ed è innegabile, infatti, che ogni ordine sia contingente, e venga concepito come tale: ma contingente rispetto a che?».

Alle prese con il suo film E ora dove andiamo? la regista Nadine Labaki deve aver pensato a qualcosa del genere. Quando nel villaggio dove è ambientato il film arriva l’eco delle lotte religiose che infuriano nel Paese, dando voce a una radicata esigenza di pace saranno le donne a cercare di mettere un freno alle irrequietezze maschili, escogitando strategie e stratagemmi per distogliere l’attenzione da dissidi e rappresaglie.

Nel film, registro drammatico e comico convivono alla perfezione, realizzando una danza coinvolgente sulle note della colonna sonora di Khaled Mouzanar. Come nella commedia al femminile di Aristofane, impegno etico-politico e saporosa ironia vengono amalgamati senza eccessi. Alle donne viene affidato il compito di conservare, proteggere e infine recuperare un equilibrio prezioso e vitale. Moderne Lisistrata, nel composito ruolo di mogli, madri e amiche riescono a imporsi come eroine comiche che scelgono di rifiutare l’ambiente conflittuale in cui vivono ed elaborano una sana proposta di conciliazione ricorrendo a forme d’azione tipicamente “non maschili”, basate sulla creatività e la fantasia.

Il conflitto religioso è al centro del film ma non ne soffoca la trama, così come la carica ironica non ne sminuisce la gravità.

Il tema sessuale viene evocato chiaramente, senza per questo risultare volgare, mentre le debolezze umane vengono presentate senza filtri e rendono i personaggi deliziosamente familiari. Più che per la risata, c’è spazio per il sorriso. Più che per il pianto, per un’unica (emozionante) lacrima.

La sorpresa è nel finale, come nella migliore tradizione. Solo allora, infatti, verrà proposta la costituzione di un “nuovo” ordine, “contingente rispetto all’ordine opposto”: non una mera riproposizione di un equilibrio precostituito, basato esclusivamente sul concetto di limite, ma un processo originale in grado di superare le contrapposizioni, inglobandole in un’utopia scenica.

«Agli abitanti del nostro caro villaggio, nel nome di Allah misericordioso! E ai nostri fratelli cristiani! Vi invitiamo a partecipare a una riunione a proposito delle fesserie che state facendo!». Imam e sacerdote cristiano si guardano tra loro, compiaciuti e concordi. Sembrano volerci dire che, per capire dove andare, occorre ripartire da un dialogo creativo con la realtà che ci circonda.

Premiato dal pubblico al Toronto International Film Festival del 2011 e presentato nella sezione «Un certain regard» del 64° Festival di Cannes, è un film per allentare la tensione.




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