Monache e monaci insieme pregano, lavorano e praticano l'ospitalità. È la realtà della comunità di Bose, in provincia di Biella, ben narrata da un articolo apparso sull’inserto “Donne, chiesa, mondo” dell'
Osservatore Romano del 2 gennaio scorso. Certo Bose non è una realtà nuova, ma presentare come donne e uomini riescano a vivere insieme in una comunità monastica offre almeno due spunti anche per noi, all’inizio di questo nuovo anno.
Che cosa vuol dire pensarsi come comunità (familiare, lavorativa, politica, ecclesiale, ecc.) formata da donne e uomini insieme? Prima di tutto non avere timore di affermare la differenza sessuale, non dare per scontato o per implicito l'essere diversi. "Devono esistere distinzioni al fine di evitare divisioni", così Enzo Bianchi nell’articolo. Talvolta nei nostri contesti – anche come frutto di sterili rivendicazioni femministe – preferiamo simulare un’omogeneità tra donne e uomini, proprio per non far torto a nessuno, per trattare tutti in modo uguale. In realtà, dire quotidianamente la differenza sessuale significa individuare sapientemente quali distinzioni aiutano a creare reciprocità e quali invece non fanno altro che solcare le divisioni.
Una seconda ricchezza per ciascuno di noi è data dal linguaggio e dall’ascolto. A Bose non nascondono che una delle cose più difficili sia la comunicazione, «imparare continuamente ad ascoltarsi senza credere che sia un fatto acquisito una volta per tutte. Tutto ciò esige da noi una crescita umana profonda, che non cerca di imitare l’altro ma che ci chiede di essere felici di quel che siamo, pur sapendo che uomini e donne si esprimono in un linguaggio completamente diverso». Come crescere ogni giorno nell’ascolto in famiglia, al lavoro, in politica, allontanandosi da tacite incomprensioni e conflitti (più o meno espliciti)?
Eppure a Bose la vita comune ha portato a modifiche anche sostanziali, così i fratelli tendono «a comportarsi non più come “orsi”, ma a essere più delicati, il che non vuol dire più femminili, ma più premurosi, e soprattutto a vivere la dimensione del “prendersi cura del fratello”, ovvero a non vivere più come dei solitari che si ritrovano insieme. Quanto alle sorelle, abbiamo constatato che avevano acquisito una “disciplina”, una forma di padronanza della parola diversa da quella delle comunità classiche di religiose: vale a dire che parlavano meno ed erano meno tentate di chiacchierare o bisbigliare tra loro».
Quanto è importante educarci a saper vivere con gli uomini se si è donne e sapere vivere con le donne se si è uomini, senza sminuirsi o prevaricare gli uni sugli altri. Imparare a vivere la diversità e l’alterità al di fuori di qualunque tentazione ideologica è l’augurio più vero che come donne e uomini possiamo farci perché questo 2016 sia semplicemente più umano.