“Crociata”. Storia di un’ideologia dalla Rivoluzione francese a Bergoglio

Daniele Menozzi
Carocci, Roma 2020, pp. 244, € 19
Scheda di: 
Fascicolo: aprile 2021

In un’epoca in cui crescono i resoconti ammantati di post-verità, anche religiosa, il bisogno di esercizi storici è vitale: così è per l’ultimo libro di Daniele Menozzi, professore emerito della Normale di Pisa, che contestualizza l’attuale ricorso alla categoria politico-religiosa di “crociata”.

Direttamente o indirettamente, essa ha fatto ritorno nei discorsi di capi di stato, leader ed esperti alle prese con il mondo successivo all’attentato al World Trade Center. A quasi vent’anni di distanza, quell’evento resta un punto di non ritorno per la moltiplicazione delle ipotesi circa uno scontro culturale o di civiltà. Ma a questo occorre aggiungere il tratto quasi salvifico della categoria di crociata: una compensazione spirituale per la fatica dovuta allo scontro con le novità politiche, culturali o religiose del mondo di oggi; chi vi aderisce, si percepisce come profeta o addirittura come martire nello scontro con l’ordine costituito.

Il nucleo intorno al quale ruota il testo è quindi la rilettura della crociata, effetto di una «competizione con le ideologie del mondo moderno» che condusse, a sua volta, il cattolicesimo a un’ideologia basata «sul richiamo alla restaurazione della cristianità medievale» (p. 132). L’A. dedica a questo passaggio l’intero capitolo quinto, di fatto il capitolo centrale del libro, dove è a causa del franchismo, nella linea delle strategie totalitarie del secolo, che compaiono i primi avvicinamenti tra anti-comunismo politico e religioso che sfoceranno in un uso strumentale della crociata. Ma ciò è frutto anche di una minore imparzialità della Chiesa su questo punto, specie sotto i papati di Pio XI e Pio XII.

L’excursus di Menozzi comincia con il recupero della cultura controrivoluzionaria al tempo della Rivoluzione francese, che alcuni ambienti cattolici ritenevano intrinsecamente anti-religiosa. Lo studio attesta qui la reintroduzione dell’idea di crociata e il suo uso politico (cap. I), fino alla nazionalizzazione (cap. II) e al rischio di un’opposizione tra il cattolicesimo e una spiritualità della patria, diffusasi su impulso degli ideali romantici. Nel corso del terzo capitolo, l’A. sottolinea il ruolo del Papa Re, decisivo per il rilancio della crociata in senso politico e militare. La difesa dello Stato pontificio costituisce infatti un’ulteriore conferma che la «sacralizzazione della politica» ha reso la crociata uno «strumento d’intervento nella sfera pubblica» (p. 102), che troverà sponde anche durante la Prima guerra mondiale (cap. IV).

Dalla ricerca, emerge che le diverse declinazioni storiche della crociata hanno in comune una preoccupazione per la sopravvivenza del cattolicesimo, ma soprattutto dei tentativi di coinvolgere il papato. Il libro deve essere visto anche, dunque, come una storia dell’atteggiamento dei pontefici in merito all’opportunità e alle modalità per disapprovare gli orientamenti del loro tempo, oltre a una sconfessione di chi vede la Chiesa fuori dal processo storico.

Ma il bisogno di una ricerca come questa si vede soprattutto grazie al mondo attuale (cap. VI), caratterizzato dalla rinuncia alle prerogative sulla crociata da parte papale e dall’inaugurazione, con il Concilio Vaticano II, di un dialogo tra la Chiesa e il mondo moderno. D’altra parte, oggi si ha a che fare con la ricomparsa del tema della crociata. Le sue traiettorie sono evidenti proprio di fronte al rifiuto del Concilio, sul piano teologico, sia su quello culturale e politico. Alla proposta teologica e politica del Concilio, infatti, si oppone spesso quella delle culture wars di derivazione statunitense, cioè conflitti aventi per oggetto questioni etiche e specialmente di biopolitica.

Il testo ripercorre gli anni dei papati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, mostrando come essi si siano rapportati al tema storico della crociata e rilevando una sostanziale differenza di stile: una volontà di ripensamento, seppur incompiuto, nel primo; un’oscillante timidezza, tendente all’equivoco, nel secondo. Il testo giunge infine al pontificato di Francesco, con il quale la Chiesa si distacca nettamente dalla retorica della crociata. Egli, infatti, si è fatto promotore di una «purificazione del linguaggio», ricordando come «il ricorso al lessico della crociata [...] contraddice il nucleo essenziale del messaggio di Gesù» (p. 188). Siamo qui in presenza di uno «scarto rilevante» (p. 190), in termini di approccio e sensibilità, che la Chiesa può sottolineare tanto verso se stessa e verso il proprio passato, quanto verso il mondo contemporaneo.

L’importanza del volume si coglie quindi tramite una lettura sinottica, cioè con la consapevolezza che il passato non è mai solo passato e che il presente non si spiega solo a partire da sé. Il libro mette insieme studio della storia e discernimento del presente. Menozzi ci riesce nella convinzione che un’analisi semantica di un concetto denso, di vario uso e interesse dal punto di vista storico, sia indispensabile per spiegarne la riproposizione come strumento interpretativo presente. Ma c’è anche la convinzione che ciò dipenda dall’assenza di «una specifica attenzione all’impiego del sintagma da parte degli attori impegnati in uno scontro» (p. 17), nella dimenticanza delle motivazioni e delle intenzioni e del loro rapporto con la concretezza di un tempo. La sfida del testo è usare gli strumenti della storia in un mondo che ne sperimenta l’esilio.

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