Riproduciamo qui uno stralcio di una più ampia riflessione pubblicata nel numero di aprile di Aggiornamenti Sociali, con il titolo «Dalla pandemia alla guerra. Spunti per attraversare un tempo turbolento»; la versione integrale è disponibile per gli abbonati.
È ormai un luogo comune l’affermazione che da una crisi si esce diversi. Questo vale anche per la crisi ucraina, in cui è ancora il futuro a venirci incontro nella forma dell’esigenza del cambiamento. Il cambiamento non ci lascia scampo: è inevitabile. Ma possiamo decidere se subirlo o governarlo, e in questo caso in che direzione indirizzarlo e a quale livello di profondità lasciarcene investire.
In realtà il cambiamento è già cominciato: stiamo già diversificando il nostro mix di fonti energetiche, cercando nuovi fornitori, ridando slancio alle energie alternative e rinnovabili. Intanto il sistema produttivo, in particolare i comparti più energivori, al momento sotto choc, stanno cominciando a riprogettarsi in funzione di costi energetici che potrebbero rimanere elevati. Lo stesso vale per gli altri comparti oggi messi in ginocchio dall’interruzione dei rifornimenti, ad esempio alcune filiere agroalimentari. Alcune produzioni resisteranno, altre modificheranno il proprio ciclo, altre ancora si arresteranno o dovranno trasferirsi. Non è la prima volta che succede, anzi l’elenco delle ristrutturazioni del sistema produttivo a seguito di choc è piuttosto lunga. Ma qui rimaniamo sul piano delle soluzioni tecniche, che non mettono in questione la logica con cui funziona il sistema.
Se saremo disponibili, il cambiamento potrebbe interessare anche un piano più profondo, ad esempio investendo in modo più generale il rapporto delle nostre società con l’energia, e quindi il livello degli stili di vita e delle scelte di consumo. Potrebbe persino derivarne una spinta nella direzione della sostenibilità: con i prezzi del gas alle stelle, diventano assai più attraenti le case passive, quelle costruite in modo da risultare autosufficienti o quasi dal punto di vista energetico: senza termosifoni né condizionatori, ma confortevoli sia in estate sia in inverno. È possibile, già oggi, anzi già da tempo, e anche in Paesi con condizioni climatiche più estreme delle nostre. Costruirle costa di più, ma oggi potrebbe risultare persino conveniente, e non solo ecologicamente responsabile.
Infine, potremmo darci una chance di cambiamento a un livello ancora più radicale, ripensando le dinamiche della politica internazionale. Fino a che la geopolitica funziona sulla base della logica degli imperi, è inevitabile che si creino frizioni nelle aree in cui le sfere di influenza vengono a contatto. È il mondo descritto da George Orwell in 1984, diviso tra tre superpotenze – Oceania, Eurasia ed Estasia (per non dire Stati Uniti, Russia e Cina) – in costante guerra. Non si affrontano direttamente, ma si contendono il controllo di una fascia cuscinetto che cambia ciclicamente di mano: nel romanzo l’Ucraina non ne fa parte, ma in fondo è un dettaglio. Certo, per ripensare la politica e la governance internazionale serve un accordo globale, ma la difficoltà di costruirlo non può diventare un alibi per non provarci.
Soprattutto serve la disponibilità a riarticolare i rapporti tra i centri (degli imperi) e le periferie. Inevitabilmente i primi dovranno accettare di perdere qualcosa, in termini di potere e anche di benessere. Non è una novità: l’Amazzonia è per molti versi una regione simbolo della condizione di “periferia dell’impero” e dei pesi che questo comporta. Come ha messo in evidenza il Sinodo del 2019, per poter continuare a esistere con il suo volto, ha bisogno che il resto del mondo (il suo “centro”) le lasci lo spazio per farlo, rinunciando a sfruttarne tutte le risorse e cambiando la logica di funzionamento del rapporto centro-periferia. Lo stesso vale per molte altre parti del mondo, Ucraina compresa.
Così, se guardiamo al futuro che ci aspetta sulla base di quanto abbiamo sperimentato negli ultimi due anni, scopriamo che ci si ripresenta un interrogativo di fondo: se davvero vogliamo un mondo diverso domani, quanto siamo disponibili a cambiare a partire da oggi?