Prendere responsabilmente atto dei problemi. Identificarne le cause scatenanti in modo pro-attivo e circostanziato al fine di ridurne gli effetti negativi. Farlo con tempestività, senza rifugiarsi in confortevoli alibi. Stabilire in quale misura la ricomposizione della crisi può essere realizzata tramite uno sforzo individuale oppure sostenuta da un aiuto esterno. Analizzare le crisi delle nazioni come se fossero – su larga scala – delle crisi che si verificano nelle vite delle persone, attraverso uno schema operativo mutuato dalla psicologia (cap. I). È questa la prospettiva descritta da Jared Diamond nel suo più recente libro Crisi. Come rinascono le nazioni, pubblicato nella primavera del 2019 e che offre spunti di notevole interesse per leggere la crisi scatenata dalla COVID-19, anche se, per ovvie ragioni cronologiche, il testo non la affronta direttamente.
Per assaporare al meglio l’intuizione che Diamond ci propone, è necessario fare un piccolo passo indietro e inquadrare il tutto alla luce dell’intreccio fra il suo percorso scientifico e il vissuto personale. L’ottantatreenne professore statunitense è forse il maggior esponente del pensiero scientifico “orizzontale”, ovvero di quell’aprirsi senza pudori disciplinari all’integrazione di ambiti (apparentemente) separati, per poter fotografare le macro-tematiche da una moltitudine di prospettive che, interagendo fra loro, offrono scorci inediti e intuizioni del tutto innovative. Formatosi come fisiologo e biologo, l’A. ha ben presto coltivato interessi di ricerca paralleli per l’ornitologia e l’ecologia, che lo hanno portato a una frequentazione assidua della Nuova Guinea; dopo un paio di decenni, questo lo stimolerà a sviluppare ulteriori interessi in ambito antropologico, linguistico e storico-geografico. Il primo distillato di questa poliedrica esperienza di ricerca, contenuto nel suo volume Armi, acciaio e malattie. Breve storia degli ultimi tredicimila anni (Einaudi 1997) – che gli varrà il premio Pulitzer – propone una articolata spiegazione del perché la civiltà tecnologicamente avanza è gemmata primariamente in Europa e Nord America e non altrove. Un secondo contributo significativo è arrivato nel 2005 con Collasso. Come le società scelgono di morire o vivere, dove Diamond identifica nella questione ambientale e nel sovrasfruttamento delle risorse una delle cause principali di estinzione delle civiltà del passato, anche le più grandi e potenti. Crisi nasce più di recente, dall’intreccio tra i suoi ricordi di viaggio e soggiorno in Paesi attraversati da profonde crisi (ad esempio, Berlino durante l’erezione del muro, la Finlandia durante il conflitto con la Russia, il Cile di Allende) e le discussioni con la moglie psicologa clinica specializzata in “terapia della crisi”, il ramo della psicologia che studia meccanismi e fattori che predispongono le persone a emergere con successo da crisi individuali quali lutti, tradimenti, incidenti.
Intrecciando questi due piani, Diamond descrive l’opportunità di adottare il modus operandi psicologico per analizzare e rispondere a crisi collettive di livello nazionale e sovranazionale. Con queste premesse, l’A. declina in prospettiva macro dodici principi cardine, che spaziano dalla presa di coscienza della crisi, fino all’individuazione dei valori come fattori irrinunciabili, attraversando aspetti che riguardano la selettività degli interventi e l’accettazione della responsabilità del cambiamento. Senza ombra di dubbio, la “check list” declinata da Diamond potrebbe coadiuvare in modo molto efficace e strutturato sia il dibattito sia gli interventi pubblici in tempi di crisi o di repentini cambiamenti. Lungi dall’essere una ricetta esatta o una tesi in senso proprio, lo schema proposto dall’A. favorisce l’adozione di un approccio sistemico e pro-attivo, volto a identificare soluzioni senza lasciare spazio alcuno ad alibi e facili rimedi di circostanza.
Nel volume, le crisi descritte e analizzate da Diamond attraverso la sua innovativa mappa interpretativa sono essenzialmente crisi di natura politico-sociale e circoscritte a livello nazionale/territoriale. Ad esempio, gli indonesiani, frammentati in centinaia di isole, 72 lingue e quattro religioni principali, hanno trovato la loro unità nella lotta condivisa per l’indipendenza contro gli olandesi. L’attacco nemico giapponese a Pearl Harbour ha creato compattezza nell’opinione pubblica statunitense in materia di interventi militari. I finlandesi, galvanizzati dalla esperienza della guerra del 1939-1940 contro la Russia, riuscirono a difendere la propria indipendenza (sostenendo enormi costi e sacrifici) nonostante l’incomparabile potenza bellica sovietica.
In tutti questi tre casi, le premesse per una fruttuosa reazione alla crisi sono state generate dalla presenza di una comune minaccia esterna, un nemico ben visibile a tutti. Fino all’inedita pandemia da COVID-19, le grandi problematiche globali non avevano mai offerto un nemico comune, concreto e tangibile, contro cui combattere e tramite il quale sviluppare un sentimento identitario globale. La crisi legata al coronavirus si propone invece come la prima vera crisi globale compiutamente conclamata. Diamond in un suo articolo del 28 maggio 2020, scritto per il Financial Times e intitolato «Lezioni dalla pandemia», che si propone come ideale appendice del volume, coglie l’occasione per iniziare a tratteggiarne una prima analisi, tentando di coglierne gli aspetti potenzialmente positivi alla luce del suo schema interpretativo. Come affermava Churchill, «mai sprecare una crisi» e Diamond pare fagli eco quando dice «non sprechiamo la grande crisi globale».
Allo stato dell’arte, la COVID-19 non sembra una minaccia esistenziale per la sopravvivenza della nostra specie in senso stretto. Sicuramente però ha prodotto un forte rallentamento dell’economia mondiale e conseguentemente ha generato uno stato di vulnerabilità per un ampio spettro di categorie sociali, tuttavia nulla è irrimediabilmente compromesso sul medio periodo. A differenza di molte delle epidemie del passato, il virus non pare provocare lo spopolamento di aree o la sostituzione di popolazioni (si pensi alle malattie portate dai conquistadores in America centrale). Secondo Diamond, sono altri i pericoli, e ben già presenti fra noi, che costituiscono minacce esistenziali capaci di estinguere la nostra specie nel caso limite, oppure – più ottimisticamente – di danneggiare in modo permanente le nostre economie e standard di vita. Tuttavia, questi fattori di crisi sono molto meno convincenti della COVID-19 nel motivarci ad attuare una risposta selettiva e pro-attiva per il semplice fatto che non uccidono visibilmente e rapidamente come fa il virus. Per quanto possa risultare paradossale – secondo Diamond –, la reazione alla crisi pandemica potrebbe finalmente motivare ad affrontare in modo consapevole e lucido le grandi questioni che riguardano il futuro del pianeta e dell’umanità.
Quali sono quindi le potenziali grandi crisi all’orizzonte prese in esame nel volume (cap. XI)? In primis, facendo un parallelo, la minaccia che può uccidere nel minore tempo possibile il maggior numero di persone è quella degli armamenti nucleari. Un secondo serbatoio di potenziali crisi, capaci di intaccare irrimediabilmente il tenore di vita di una moltitudine di persone pur lasciandole ancora in vita, viene individuato nella questione ambientale, che si presenta strettamente collegata alla tematica riguardante lo sfruttamento e allocazione delle risorse (tanto naturali quanto economico/finanziarie).
A differenza di queste minacce globali, che sono percepite come “latenti”, gli effetti della COVID-19 sono, al contrario, estremamente tangibili e rapidi nel concretizzarsi. Le conseguenze in termini di morti non pongono problemi di definizione e misurazione (non così, ad esempio, in tema di riscaldamento globale): sono lampanti, e dicono che ora siamo di fronte a un nemico globale ben visibile a tutti. Questa nota, per Diamond, rappresenta un’ottima notizia. Infatti, uno dei dodici principi cardine descritti come fattori determinanti nell’affrontare con successo una crisi – tanto personale quanto a carattere nazionale – è collegato alla dimensione dell’autostima: essere convinti di poter conseguire un risultato coagulando le energie attorno a un obiettivo ben definito. In un’ottica aggregata, questa dimensione di autostima può declinarsi in una identità condivisa che aiuti i membri della collettività a riconoscere sia la loro parte di contributo diretto, sia la quota di interesse privato perseguito attraverso la causa comune.
L’A. nota come le identità collettive dipendano da fattori variabili nelle differenti culture, basandosi, a seconda dei casi, su aspetti linguistici, storici o territoriali. In alcuni casi molto interessanti, coalizioni identitarie forti si sono create per rispondere a un nemico comune. Secondo Diamond, il risultato migliore che potremo trarre da questa crisi pandemica è esattamente il crearsi di un senso diffuso di identità globale. Esattamente su questa lunghezza d’onda risuona l’appello di papa Francesco a favore della realizzazione di un vaccino universale, non brevettato, di cui l’intera umanità possa beneficiarne indistintamente e solidalmente.
L’auspicio di Diamond è che questa crisi sanitaria possa segnare l’inizio di una fattiva cooperazione internazionale che sappia finalmente porre le basi per affrontare lucidamente e cooperativamente anche tutte le altre urgenti crisi globali che sono al nostro orizzonte.