«Uno spettro si aggira per
il mondo: il populismo»
(p. 19). Così, parafrasando il celebre
incipit del Manifesto del partito
comunista, si esprimevano già
a fine anni ‘60 Ghiță Ionescu ed
Ernest Gellner, fra i primi studiosi
che tentarono di trattare in maniera
più sistematica tale fenomeno
politico. In realtà, si tratta di un
concetto che si è fin dall’inizio rivelato
sfuggente a ogni definizione.
Jan-Werner Müller, docente di
Filosofia e Teoria politica dell’Università
di Princeton, ha voluto raccogliere
la sfida con questo breve
saggio, intitolato proprio Cos’è il
populismo?. Scritto nel 2016 (anno
cruciale dei populismi contemporanei,
segnato dalla Brexit e dalla
vittoria di Donald Trump alle elezioni
presidenziali statunitensi) e
divenuto subito un “classico” della
letteratura sul tema, compare ora
in una seconda edizione italiana
aggiornata, corredata da una
prefazione della politologa Nadia
Urbinati, autrice di altri importanti
saggi sull’argomento, e da una nuova prefazione dell’A. Entrambi
osservano infatti come negli ultimi
anni la diffusione e il potere dei
movimenti populisti sono andati
consolidandosi, smentendo puntualmente
le previsioni di coloro
che li dipingevano semplicemente
come irresponsabili, espressione
di reazioni emotive e “di pancia”
e dunque incapaci di governare
le complessità del mondo attuale,
dalla pandemia in poi. Tale
resilienza, confermata anche dai
recenti successi elettorali in vari
Paesi europei, motiva uno sforzo
più attento nell’investigazione di
tale complesso fenomeno.
L’A. rifugge dalla tentazione di
cristallizzarlo in una definizione
rigida, e ne delimita invece meglio
il perimetro ragionando su una
serie di punti che vengono raccolti
in sette “tesi” sul populismo. In particolare, rigettando un utilizzo
ancora tendenzialmente troppo
ampio dell’etichetta “populista”
(spesso usata in senso negativo,
ma talora addirittura come “medaglia”
da esibire), l’A. identifica
il populismo come “forma parassitica”
della democrazia rappresentativa:
«nasce con l’arrivo della
democrazia rappresentativa; è la
sua ombra» (p. 34). Come tale, di
fatto permane come rischio
sempre concreto, anche
in democrazie
“mature”, senza
poter essere
semplicemente
derubricato a
una «specie
di patologia
causata da
cittadini irrazionali
» (p. 146). Il
populismo colora
il proprio antielitarismo
con forti connotati
moralistici: le élite, variamente
caratterizzate, sono sempre
cattive e corrotte, mentre il “popolo
vero” (identificato in realtà
con una precisa parte di esso) è
sempre indiscutibilmente buono e
puro. Avversa generalmente ogni
forma di pluralismo, pretendendo
di essere l’unico legittimo rappresentante
del “popolo vero”, persino
contro i risultati elettorali. Una
volta al potere, si caratterizza per
la sistematica occupazione dello
Stato, per forme di clientelismo di
massa e per la «soppressione di
qualunque cosa che assomigli a
una società civile critica» (p. 146).
Di conseguenza, l’A. rifiuta categoricamente
la visione secondo
cui il populismo potrebbe rappresentare
una forma di “correttivo” alle derive tecnocratiche delle democrazie
liberali, o una garanzia
di maggiore partecipazione politica,
classificandolo invece come
una vera e propria minaccia alla
democrazia.
Tuttavia, per l’A., ciò non significa
minimizzare o addirittura ignorare
le istanze sottese alle stesse
rivendicazioni populiste, degradandole
semplicemente a manifestazioni
irrazionali di rabbia da
trattare con sufficienza e
paternalismo. Il populismo
rappresenterebbe
la presunta
risposta ad alcune
delle «cosiddette
promesse
della democrazia
che non sono
state mantenute
e che semplicemente,
in un certo
senso, non possono
esserlo nelle nostre società
» (p. 114). Per l’A. dunque
il dialogo con i populisti rimarrebbe
fondamentale, e «parlare
ai populisti non significa parlare
come loro. Si possono considerare
seriamente le loro rivendicazioni
politiche senza prenderle alla lettera
» (p. 124).
Se il tentativo di ridurre ogni forma
di populismo globale a questo
schema può prestare il fianco ad
alcune obiezioni, proprio l’apertura
a un ascolto autentico delle istanze
alla base di tale rischiosa sfida interna
alla democrazia rappresenta
invece uno dei lati più originali di
quest’opera, che anche nei più recenti
sviluppi della politica globale
mantiene ancora tutta la sua freschezza
e attualità.