Di fronte a questioni delicate e complesse non è facile decidere, si
teme di commettere un grave errore. Anche non scegliere potrebbe
esserlo. Per superare l’impasse si avverte la necessità di uscire da sé e
rivolgersi a un amico, a una persona fidata o a un esperto, chiedendo
consiglio.
Espressione di una delle più genuine relazioni umane come l’amicizia,
fin dall’antichità l’attività del consigliare non investe solo l’ambito
privato, ma caratterizza anche la sfera pubblica attraverso le
istituzioni. Non a caso, il principale organo democratico dell’antica
Atene, istituito alla fine del VI secolo a.C., era la boulé,
termine che in greco significa, appunto, “consiglio”. Ancora oggi,
alcune delle nostre più importanti e basilari istituzioni vengono
definite con questo appellativo: Consiglio comunale, Consiglio dei
ministri, Consiglio di amministrazione.
Dare e ricevere consigli
può essere determinante per la nostra vita pubblica e privata, al punto
che la tradizione ecclesiale vede nel consigliare i dubbiosi una delle
opere di misericordia spirituale e nel consiglio uno dei doni
particolari dello Spirito Santo. Del resto, è anzitutto la tradizione
biblica a sottolinearne l’importanza.
Un perfetto consigliere
Scampato allo sterminio in Egitto, il nascente Israele si trova a
fare i conti, nel deserto, con la sua nuova condizione di libertà. In un
contesto ambientale al limite della sopravvivenza riesce ad avanzare
verso la Terra promessa grazie a Mosè: il suo bastone rende potabili le
acque o le fa scaturire dalla roccia, salvandolo dalla sete; le sue
istruzioni su come raccogliere e conservare le quaglie e la manna lo
salvano dalla fame; la sua guida in battaglia lo salva dall’attacco dei
nemici. Eppure, proprio questo leader carismatico, a cui Dio parla bocca a bocca (cfr Numeri
12, 8), poco prima di ricevere il dono della Legge sul Sinai mostra un
suo limite: non si accorge di non poter far fronte da solo, in qualità
di giudice, alle numerose liti e controversie legali presentategli dal
popolo. Questo mette a rischio la sopravvivenza di Israele dall’interno
ed è una minaccia ben più pericolosa di quelle a cui è scampato finora,
provenienti, invece, dall’esterno.
Neanche gli altri attorno a Mosè sono consapevoli del pericolo:
perché lo comprendano è necessario l’intervento di qualcun altro al di
fuori di Israele, ma sufficientemente vicino da essere benvenuto e, allo
stesso tempo, così autorevole da essere ascoltato.
Esodo 18, 13-24 13 Il giorno dopo Mosè
sedette per amministrare la giustizia al popolo. Il popolo stava davanti
a Mosè dalla mattina fino alla sera. 14 Il suocero di Mosè
vide tutto ciò che lui stava facendo per il popolo e disse: «Cos’è
quest’azione che tu stai facendo per il popolo? Perché tu te ne stai
seduto da solo e tutto il popolo sta attorno a te da mattina fino a
sera?». 15 Rispose Mosè a suo suocero: «Perché il popolo viene da me a consultare Dio. 16
Quando a loro accade qualcosa che mi viene riportata, io giudico fra
l’uno e l’altro e faccio conoscere i decreti di Dio e le sue leggi». 17 Il suocero di Mosè gli disse: «Non è bene ciò che tu stai facendo. 18
Certamente finirai per esaurirti, tu e questo popolo che è con te,
perché è troppo pesante la situazione per te, non puoi affrontarla da
solo. 19 Ora ascoltami, ti darò un consiglio e che Dio sia
con te. Stai tu davanti a Dio in favore del popolo e porta tu le
questioni a Dio. 20 Poi spiega loro i decreti e le leggi e fa conoscere a loro la via per la quale devono camminare e le opere che devono fare. 21
Tu, invece, scegli tra il popolo uomini di valore, che temono Dio,
uomini fidati, che odiano il guadagno ingiusto, e ponili su di loro come
capi di migliaia, capi di centinaia, capi di cinquantine e capi di
decine. 22 Loro giudicheranno il popolo in ogni
circostanza. Riferiranno a te ogni questione importante, mentre loro
stessi giudicheranno ogni questione di minore importanza. Alleggerisci
così il carico su di te ed essi lo porteranno con te. 23 Se
metterai in pratica questo consiglio e Dio te lo ordina potrai
sussistere ed anche tutto questo popolo arriverà in pace al proprio
luogo». 24 Mosè ascoltò la voce di suo suocero e fece tutto ciò che aveva detto.
È
Ietro a svolgere la funzione di coscienza critica, un pastore della
regione di Madian, tra il Sinai e la penisola araba, dove Mosè si era
rifugiato fuggendo dall’Egitto: aveva infatti ucciso un egiziano da lui
sorpreso a maltrattare uno schiavo ebreo. Qui, poi, aveva difeso alcune
donne dagli altri pastori che impedivano loro di abbeverare il gregge:
erano proprio le figlie di Ietro, il quale, riconoscente, gliene concede
una in moglie, Zippora, diventando suo suocero (cfr Esodo 2, 11-22).
Ietro si può definire un “uomo delle istituzioni”: aveva fatto da
tutore alla famiglia di Mosè, impegnato nella missione di liberazione
del popolo dalla schiavitù in Egitto, e l’aveva poi riunificata,
riconducendo al genero la moglie e i due figli; in qualità di sacerdote
di Madian, aveva offerto sacrifici a Dio condividendo un pasto rituale
con i capi di Israele (cfr Esodo 18, 1-12); infine, da anziano – e
quindi esperto di governo – si rende conto del rischio e suggerisce la
soluzione “istituzionale” di costituire dei capi.
Non si tratta, però, di un “salvatore della patria”, un leader dalle
cui scelte indiscutibili dipendono le sorti di tutti (cfr PIANI R.,
«Leadership», in Aggiornamenti Sociali, 7-8 [2012] 620-623).
Anzi, il suo consiglio va proprio nella direzione opposta: il potere,
che fino a quel punto era rimasto concentrato nelle mani di Mosè, deve
essere invece delegato e condiviso con altri uomini opportunamente
selezionati e preparati. Così, Ietro pone le basi per la
“democratizzazione” d’Israele, nel senso di un allargamento della
partecipazione al governo, prendendo lui stesso l’iniziativa in prima
persona e proponendosi in veste di consigliere. Nel farlo egli non mette
in discussione la dimensione deliberativa (la decisione finale spetta a
Mosè), ma evidenzia la necessità di quella consultiva.
Nel nuovo “assetto istituzionale”, a Mosè, in qualità di legislatore,
spetta il compito di dirimere le cause troppo difficili per gli altri
giudici ma, soprattutto, di spiegare le leggi, illustrarne i principi
ispiratori, indicare al popolo la strada su cui deve camminare:
«l’importante, in definitiva, come già sapeva Platone, è di rendere
“affascinanti” le leggi, di mobilitare a loro profitto l’immaginario
fondatore e l’affetto politico, perché tali leggi siano amate (cosa ben
più importante della loro comprensione e persino della loro conoscenza)
e, in quanto amate, che siano rispettate» (O ST F., Raconter la loi. Aux sources de l’imaginaire juridique,
Odile Jacob, Parigi 2004, 52, nostra trad.). Mosè, dunque, mentre
delega parte del suo potere, conserva un ruolo centrale e determinante
per l’amministrazione della giustizia, concentrandosi però
sull’essenziale, invece di disperdersi in un’attività sfiancante.
Eppure,
il consiglio risolutore gli è dovuto arrivare da uno straniero. Un
parente, certo, ma sempre un estraneo a Israele. Non comporta, questo,
una diminuzione della grandezza della figura di Mosè, il legislatore e
il profeta, la guida carismatica per eccellenza, e del popolo che lui
rappresenta?
Ietro è presentato come il perfetto consigliere: è più anziano del
genero e quindi ha più esperienza; è pienamente inserito nelle
istituzioni, in quanto sacerdote, suocero e custode della famiglia.
Essendo straniero, poi, ma parente di Mosè, si trova nella condizione di
poter esercitare un ruolo super partes, essendo alla giusta
distanza fra il leader e il suo popolo: agisce di sua iniziativa, libero
da compromessi sia con interessi personali – di “famiglia” – sia con le
istanze popolari di cui si fa portavoce. Il consigliere, infatti, è
chiamato ad abitare una soglia: da una parte non ha un potere
decisionale diretto, non è lui il leader; dall’altra occupa una
posizione più elevata degli altri, per cui è in grado di guardare la
situazione da un altro punto di vista, più ampio e penetrante.
Inoltre,
mentre Mosè esercita la sua funzione di guida sulla base di una
leadership carismatica (il popolo va da lui per «consultare Dio»), Ietro
esercita la funzione di consigliere a partire dalla propria esperienza
di vita. A questo livello, pertanto, dare e accettare consigli sono i
due poli di un’unica attività in cui si esprimono sia la dimensione
carismatica e spirituale, sia quella istituzionale e giuridica,
attraverso la valorizzazione dell’esperienza umana. In termini biblici,
si tratta di una pratica sapienziale.
Mosè, quindi, ascoltando il buon consiglio del suocero, non inventa ex novo
un assetto istituzionale, ma riconosce la validità dell’esperienza già
fatta da altri e l’assume a beneficio del suo popolo, come rimedio a una
situazione pericolosa di cui non era neanche cosciente. La sua
grandezza, allora, consiste nell’umiltà con cui riesce a temperare il
forte senso della giustizia che lo ha sempre caratterizzato, al punto,
però, da impedirgli di vedere il rischio di accentrare troppo il potere
su di sé, personalizzando le vicende del popolo.
L’abilità dei consiglieri
Ietro assomiglia molto a quei saggi interpellati dai re o dagli alti
funzionari dell’età monarchica di Israele (X-VI sec.), per avere
consiglio sulle scelte di governo, sulla politica interna ed estera,
sulle questioni legali. I consiglieri potevano esercitare una notevole
influenza grazie al prestigio di cui godevano e al fascino della loro
saggezza. Il senso della loro importanza in Israele si può desumere da
uno dei titoli che il profeta Isaia attribuisce al re-messia atteso da
Israele: consigliere ammirabile (cfr Isaia 9, 5). E nel libro dei Proverbi, in cui gli scribi hanno conservato la tradizione sapienziale di Israele, si legge: Dove manca una guida il popolo va in rovina; la salvezza dipende dal numero dei consiglieri e Falliscono le decisioni prese senza consultazione, riescono quelle suggerite da molti consiglieri (Proverbi
11, 14 e 15, 22). Sono testimonianze di come, sebbene il governo
spettasse o a un monarca o a un’oligarchia aristocratica, si tenevano in
grande considerazione il momento consultivo e l’impostazione
collegiale.
Il capitolo 18 dell’Esodo lo spiega ricorrendo alla modalità
narrativa. Proprio gli scribi di corte – che spesso svolgevano anche la
funzione di consiglieri – hanno redatto questo testo tra il VII e il VI
secolo a.C., proiettando e rileggendo la situazione del loro tempo
attuale nell’esperienza fondatrice dell’Esodo avvenuta molti
secoli prima, intorno al XIII sec. a.C. Lo si deduce, tra l’altro, dalla
parola usata nel testo per designare i «giudici», śārîm,
che indica piuttosto dei governatori locali preposti al controllo di una
o più città fortificate, ovvero dei capi militari. Questi
sovrintendenti avevano, tra i vari compiti, anche quello di amministrare
la giustizia e con le loro sentenze creavano il diritto laddove
mancavano le norme. Si tratta di un’istituzione legata non certo alla
vita nomade nel deserto bensì a quella stabile in città e risalente al
periodo monarchico, quando la struttura tribale, basata sul governo
degli anziani, non era più adatta alle nuove esigenze di controllo del
territorio da parte di un’amministrazione centralizzata. D’altro canto,
non era neanche possibile per il re mantenere tutto il potere nelle sue
mani.
In questa nuova situazione sono gli scribi-consiglieri ad accorgersi
dell’impasse e a farsene carico, proponendo una soluzione. Il racconto
descrive il modo in cui la suggeriscono, esercitando pressione: è la
loro forma di “advocacy”. Si può intravedere, allora, nel
personaggio di Mosè un re ignaro dei rischi di una politica
accentratrice, o forse riluttante nel concedere le riforme necessarie, e
in quello di Ietro gli stessi scribi-consiglieri che cercano di
convincerlo. Il ricorso alla modalità narrativa, al racconto, esprime in
questo caso il genio politico del consigliere: evita lo scontro diretto
e la polemica sterile, da cui deriva solo l’irrigidimento delle
posizioni, e fa leva, invece, sull’immaginario, orienta la passione
politica alla memoria della situazione originaria, paradigmatica.
Per dare autorevolezza alla propria proposta, alternativa a quella di
altri gruppi di potere come gli anziani e i sacerdoti, non a caso gli
scribi-consiglieri assumono come loro rappresentante Ietro, il suocero
madianita di Mosè. Infatti, la soluzione di cui si fanno portavoce non è
dedotta dalla fede o dall’appartenenza al popolo eletto, ma dalla buona
esperienza già fatta dagli altri popoli: i śārîm si
trovano nel Vicino Oriente antico già prima che Israele si insedi nella
Terra promessa, appartengono cioè alle buone pratiche del tempo. Di
fronte al rischio di collasso dell’istituzione e del popolo non sono
l’identità religiosa o il carisma del leader a fornire una via d’uscita, ma il consigliarsi. Il racconto di Esodo
18 non ne mostra solo la necessità, ma anche la condizione per la sua
efficacia: il ricorso alla sapienza umana. I consiglieri si dimostrano
sapienti per la competenza e il disinteresse con cui ricercano il bene
comune al di là delle appartenenze e altrettanto saggio si manifesta
chi, come Mosè, mette in pratica il consiglio, riconoscendone la
validità e dimostrando, così, di aver davvero ricevuto il dono del buon
governo.