Ci vuole più coraggio a scegliere la pace che la guerra

Di don Renato Sacco, Consigliere nazionale di Pax Christi Italia 

Un amico di Sarajevo mi diceva: «La guerra è come un treno, quando parte non puoi più fermarlo né scendere». Sono parole angoscianti, che si radicano nella tragedia di una città e di una terra, la Bosnia-Erzegovina, il primo Paese d’Europa a fare nuovamente l’esperienza della brutalità di un lungo conflitto armato dopo la Seconda guerra mondiale: l’assedio a Sarajevo durò quattro anni (5 aprile 1992 – 29 febbraio 1996). Una esperienza a cui tornare nel momento in cui di nuovo sentiamo il fragore delle armi e vediamo le immagini di città europee sventrate dalle bombe.

La lezione di Sarajevo

Di quei terribili anni mons. Pero Sudar è un testimone diretto: nominato vescovo ausiliare di Sarajevo nel 1993, durante l’assedio, lo è rimasto fino al 2019. Nel 2003 pronunciava parole che ci fanno riflettere ancora oggi: «La guerra nella mia patria e le sue tragiche conseguenze mi hanno costretto a immaginare il corso della storia senza le guerre, con cui si intendeva combattere le ingiustizie ed abbattere i sistemi ingiusti. Riconosco di essere stato convinto anch’io che l’uso della violenza sia utile e necessario quando si tratta della libertà dei popoli. Dopo aver visto e vissuto da vicino che cosa vuol dire la guerra di oggi, non la penso più così. Sono profondamente convinto, e lo potrei provare, che l’uso della violenza ha portato sempre un peggioramento».

La scelta militare non può essere l’unica strada

«La guerra è una pazzia!», ha detto papa Francesco all’Angelus del 6 marzo. In questo momento allora è importante ragionare, per non lasciarci travolgere e trovare la risposta più efficace. Seguendo l’esempio di altri Paesi europei, il Governo e il Parlamento italiani hanno approvato l’invio di armi all’Ucraina: una scelta che ha lasciato sconcertato il presidente di Pax Christi Italia, mons. Giovanni Ricchiuti (vescovo di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti), che il 3 marzo ha dichiarato: «“Mostrare i muscoli” non può essere, e non potrà essere la strada che porta alla pace! Io non ci sto! E con me credo tantissime donne e uomini di buona volontà, di Pax Christi e non solo. Che credono e vogliono la pace. […] Mi sembra che qui si vedano ben chiari i grandi interessi delle lobby delle armi». 

Condivido profondamente queste parole: la scelta militare non può essere l’unica strada per “non voltare la faccia dall’altra parte”. La minaccia delle armi nucleari, evocata esplicitamente dal Presidente russo, pesa sulle sorti di questa guerra: il Doomsday Clock, l’“orologio dell’apocalisse” che “misura” il rischio di un conflitto nucleare distruttivo per l’umanità, il 7 marzo è stato spostato a cento secondi dalla mezzanotte.

Scompigliare la logica delle armi

Per questo urge un serio esame di coscienza su come per anni abbiamo continuato a preparare guerre con grandi investimenti in armi, e su quanti armamenti abbiamo venduto alla Russia o ad altri Paesi che le usano per fare la guerra. Serve anche una seria riflessione sulla NATO, i suoi obiettivi, la sua utilità e il significato della nostra appartenenza. Ma soprattutto abbiamo bisogno di gesti forti, che possano scompigliare la logica delle armi e della guerra. Con una convinzione: ci vuole più coraggio a scegliere la pace che la guerra. 

14 marzo 2022
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