Chioccia tigre elicottero spazzaneve. Quale genitore per i nostri figli?

di Luigi Ballerini
San Paolo, Milano 2019, pp. 222, € 16
Scheda di: 
Fascicolo: febbraio 2020

Chi tratta questioni delicate come l’educazione, la relazione genitori-figli, il complesso equilibrio tra movimento del trasmettere e ricezione del retaggio di chi precede, corre il rischio costante di cadere in esagerazioni interpretative e letture unilaterali dei fenomeni indagati. Gli scaffali delle librerie sono pieni di opere dal respiro breve che, nel tentativo di far luce su un argomento di universale interesse, non di rado imboccano la strada della riduzione, mutilazione o banalizzazione dell’oggetto indagato.

Ci sono autori catastrofisti: tutto crolla, i ragazzi sono privi di guide e valori, l’educazione è una battaglia persa e l’apocalisse etica incombe. Altri studiosi dipingono un irenico quadretto da famiglia modello, realtà fantastica che esiste solo nelle pagine ispirate che ci propinano. Non mancano i ricettari genitoriali: comode istruzioni precucinate che, con ostentata sicurezza e linguaggio (pseudo)scientifico, dati alla mano e statistiche superaggiornate, indicano la strada infallibile verso l’agognato successo pedagogico. Ci si trincera così dietro la famigerata figura dell’“esperto” dell’educazione, supposta autorità cui affidarsi in mancanza di punti di riferimento sicuri.

Ballerini testimonia che è possibile prendere la parola su questi temi senza cadere negli estremismi menzionati. L’A. avvia la propria riflessione prendendo in esame i quattro stili genitoriali cui fa riferimento il titolo del testo, illustrandone caratteristiche, punti in comune, limiti. Il genitore chioccia, iperpresente e iperprotettivo, si caratterizza per un attaccamento eccessivo al figlio, che viene immaginato sempre come fragile e indifeso, incapace di muoversi da solo in un mondo così difficile e complesso. Il genitore tigre è un sergente di ferro: esige disciplina e impegno, è severo e autoritario ed è ossessionato da fantasmi di successo e prestigio sociale che proietta sul figlio: “eccellenza” è la sua parola d’ordine. Il genitore elicottero, ossessionato dal controllo e dedito al perenne monitoraggio delle attività del figlio, condivide gli obiettivi della tigre, ma si allinea al più morbido metodo della chioccia. Si concepisce come “angelo custode” quando in realtà è più simile allo stalker. Lo spazzaneve, infine, è disposto a tutto pur di risparmiare fatiche, dolori e ferite, criticando qualsiasi adulto che osi muovere un rimprovero o tenti di correggere il proprio figlio. Nello svolgere le proprie considerazioni, l’A. richiama spesso l’attenzione del lettore sulla contaminazione delle quattro figure nella realtà: non esiste “il” genitore chioccia, tigre, elicottero o spazzaneve ma ci sono delle tendenze a relazionarsi ai propri figli in modalità che, per comodità interpretativa, possono essere ricondotte a tali modelli o costrutti: fiducia, dunque, nella capacità di correggersi, ripartire, migliorarsi: «[…] questa in fondo è una buona notizia: dove c’è una persona, e non un modello, c’è plasticità, e plasticità significa anche possibilità di correzione e ripresa in caso di errore. Dove c’è una persona, c’è sempre speranza» (p. 50).

Connesso a questo sguardo carico di fiducia rivolto al mondo degli adulti educanti è il giudizio altrettanto valorizzante rivolto ai “piccoli”. L’A. ritiene infatti che il giovane, prima di ogni considerazione preliminare o difficoltà incontrata lungo il cammino, sia anzitutto un soggetto umano pienamente titolato a esprimere un giudizio pertinente intorno alla propria esperienza, ai propri bisogni e desideri, al mondo che lo circonda e alle relazioni nelle quali è immerso, siano queste tossiche o generative. La capacità critica di ogni soggetto funziona bene: ogni uomo, grande o piccolo che sia, è perfettamente in grado d’intercettare il bene, il male, ciò che lo fa respirare e ciò che lo soffoca, non ha bisogno di un filtro (digitale o meno) che s’interponga tra sé e il mondo. È dunque necessario educare tale capacità, che invece, il più delle volte, non è presa sul serio o nemmeno considerata. Dietro quest’ansia vicariante, asfittica mania di controllo e programmazione che coinvolge molti genitori, si nasconde spesso – secondo l’A. – una sfiducia nelle reali capacità del proprio figlio di valutare autonomamente, muoversi nel mondo e farlo bene.

Una sfiducia, dunque, rispetto alla “competenza umana” dell’altro, concepito in perenne “stato di minorità”. In questo senso l’A. opera un importante distinguo concettuale tra indipendenza, intesa come chimerica aspirazione di bastare a se stessi, e autonomia, ovvero la sana capacità, da coltivare e custodire, di porsi come soggetto libero e razionale in grado di riconoscere e perseguire obiettivi personali, autonomamente e non indipendentemente dai propri “maggiori”: «Alla fine, contare sul loro pensiero che discrimina e giudica è l’unica possibilità che resta, l’unica veramente praticabile. E l’unica veramente affascinante» (p. 59).

Che cosa accomuna dunque genitori e figli, al di là dell’ovvia differenza relativa all’accumulo di esperienze di chi “ne ha viste di più” per un mero fattore anagrafico? Ballerini fa riferimento a una comune questione personale, efficace espressione che sottende, mi pare, due importanti convinzioni. Da una parte c’è il riferimento all’unicità, alla singolarità del punto di vista dell’io: riferirsi alla “mia” questione significa che c’è un compito, una particolare configurazione e fisionomia del desiderio, un nome e un volto che sono solo miei. Il secondo ingrediente fa riferimento alla comune umanità, al fatto cioè che, in quanto esseri razionali e liberi, lanciati in una realtà che attira e interpella, sia l’adulto sia il bambino si trovano ingaggiati in una comune ricerca del proprio bene, insieme agli altri che partecipano al gioco serissimo e grave che è diventare uomini e donne. Espressioni come “non sei capace”, “sei troppo piccolo”, “è troppo pericoloso”, che sentiamo così spesso pronunciare da genitori carichi di paure e irretiti da un mondo sempre più ossessionato dal miraggio della sicurezza, mostrano come spesso gli adulti non riescano o non vogliano accorgersi di quello che l’A. definisce come un vero e proprio spettacolo: «Lo spettacolo di un figlio che cresce non ammette repliche. È sempre unico e irripetibile, e se di figli ne abbiamo due o tre o quattro o cinque, saranno due o tre o quattro o cinque spettacoli diversi. Ognuno speciale, ognuno bello a modo suo. Non perdiamoceli, allora, prede di affanni inutili se non dannosi, sviati rispetto a ciò che conta davvero, irrigiditi in modelli che sembrano facilitare la vita quando invece la ingabbiano e la riducono di prospettiva e intensità» (p. 127).

Ballerini scrive con linguaggio chiaro ed efficace, alternando passaggi teorici – mai intrisi di tecnicismi o oscurità erudite – a numerosi esempi, attinti da una solida esperienza clinica, riportando dialoghi significativi dai quali lascia emergere in modo molto naturale preziose indicazioni e spunti di riflessione. Da buon analista, si mette al servizio della parola altrui e l’accompagna senza tentare di forzarla. È questo, a mio avviso, uno dei maggiori punti di forza del testo. Un esempio fra tutti: una giovane paziente, assediata nel suo desiderio da una madre fanatica della performance sportiva (classico esempio di “genitore tigre”), che proietta sulla figlia il proprio ideale/progetto di realizzazione, dichiara esausta: «Io non riesco a essere la sua fotocopia». L’A. valorizza l’intuizione della ragazza, che con semplicità coglie un punto fondamentale, esprimendo il desiderio di essere trattata come altro dalla madre: «Io non sono te, io sono io».

Tale sottolineatura sul valore insostituibile del giudizio competente del ragazzo, tuttavia, si accompagna nell’A. alla consapevolezza che, in alcuni casi, questo primo passo di liberazione si rivela incapace di generare i successivi, se non dentro nuove relazioni che favoriscano e supportino il percorso verso l’autonomia e la personalizzazione: «Dentro la ribellione verso una madre così esigente e talora dura, infatti, non ha mai smesso un solo attimo di volerle piacere. E ci è rimasta incastrata dentro. Eppure aveva la soluzione quasi a portata di mano. Il passo da “non riesco” a “non posso”, fino a “non voglio essere la sua fotocopia” avrebbe potuto essere breve. Il breve passo del dire io sono io, non devo essere lei. Ma ci sono passi brevi che si impiega un po’ a compiere, che non si fanno da soli e che hanno bisogno di un compagno di strada» (p. 132). Fatiche e cadute, dunque, sono dietro l’angolo e qualcuno ha giustamente dichiarato che il genitore è il mestiere impossibile per eccellenza.

È una consapevolezza drammatica. Ed è molto facile cedere alla tentazione di semplificarsi la vita, adeguandosi a uno dei quattro modelli illustrati dall’A. Oggi più che mai, dunque, abbiamo bisogno di punti di vista liberanti, realistici e fiduciosi, competenti ma non perentori, che valorizzino la libertà ma al contempo siamo consapevoli di come questa vada supportata, amata e promossa. È questo un altro pregio di Luigi Ballerini: quello di essere un prezioso compagno di viaggio e una voce autorevole in un campo, quello dell’educazione, sempre più insidiato e maltrattato e, perciò, sempre più bisognoso di manutenzione e cura. Solo se daremo credito a chi non ritiene di padroneggiare formule magiche o ricette universali, ma allo stesso tempo è disposto a prendere coraggiosamente la parola, forte della propria esperienza e sensibilità, potremo guardare con fiducia a un futuro, ci auguriamo, il più possibile affrancato da fantomatici protocolli educativi e più ricco di uomini e donne liberi: «I nostri figli non hanno bisogno di chiocce, tigri, elicotteri e spazzaneve. Hanno bisogno di padri e madri, uomini e donne, impegnati con il proprio lavoro, appassionati della vita e delle opportunità che offre, capaci di stabilire rapporti fruttuosi, costruttori di città e civiltà» (p. 127).

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