Chiamati a libertà

L’ultima parola di un profeta del nostro tempo

Silvano Fausti
Edizioni Terra Santa, Milano 2017, pp. 184, € 15
Scheda di: 
Fascicolo: novembre 2017

Come parlare di Dio oggi? In una realtà in cui lo sguardo religioso viene sempre più annebbiato da altre preoccupazioni e priorità, come ritrovare un’unità tra la nostra vita quotidiana e la storia della salvezza? «C’è una storia unica – si legge infatti nella Prefazione del gesuita Beppe Lavelli – e siamo chiamati a viverla da discepoli di Gesù» (p. 9). Elaborare un linguaggio nuovo per parlare di Dio oggi, sia a livello teorico sia a livello pratico, è il desiderio a cui padre Silvano Fausti, gesuita, ha consacrato tutta la propria vita, vissuta con umiltà e fraternità, al servizio della Parola.

Questo piccolo volume, uscito poco più di un anno dopo la sua scomparsa (24 giugno 2015), raccoglie alcuni articoli che prendono spunto da domande su questioni di attualità poste dai lettori di Popoli, rivista dei gesuiti di cui Fausti è stato collaboratore fisso dal 2007 al 2014. È così possibile approfondire e apprezzare lo stile incisivo di padre Fausti, spesso positivamente provocatorio e paradossale, oltre alla sua capacità di sapersi mettere in ascolto della realtà e dei suoi interlocutori.

Nella seconda parte troviamo alcuni commenti di padre Silvano sugli Atti degli Apostoli, testo che egli stesso scelse per le sue rubriche su Popoli. «Per la Chiesa – scrive – è un testo fondante e normativo: racconta la fede e l’evangelizzazione della prima comunità cristiana. Il libro non parla di Gesù, ma di noi, suoi discepoli, i cui progetti non sempre sono da Dio» (p. 53). Questi articoli, secondo Beppe Lavelli, costituiscono «una specie di testamento spirituale. Sono scritti brevi ma dai quali emerge l’immagine di Chiesa cara a Silvano» (p. 9).

A testimonianza dello zelo apostolico con cui padre Fausti ha interpretato la sua attività apostolica, va sottolineato che alcuni contributi qui pubblicati sono stati scritti dopo che gli era stata diagnostica la malattia che lo avrebbe portato alla morte. «Se è vero che – scrive ancora Lavelli – “L’ultima Parola”, come era intitolata la sua rubrica su Popoli, appartiene sempre a un Altro, è altrettanto vero che, fino all’ultimo, con gli scritti e con la vita, Silvano ha voluto metterci in ascolto di questa Parola» (p. 10).

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