Chi governa il mondo?

La dimensione globale della democrazia

Sabino Cassese
il Mulino, Bologna 2013, pp. 138, € 14
Scheda di: 
Fascicolo: ottobre 2014
Quando si riflette sulla globalizzazione non è sempre immediato né scontato considerarne i risvolti a livello giuridico, che pure esistono e sono rilevanti tanto da investire e modificare aspetti tradizionali sia del diritto interno ai singoli Stati, sia di quello internazionale. Da alcuni anni Sabino Cassese, giurista di fama internazionale e giudice della Corte costituzionale, affronta questi temi concentrandosi in particolare su una questione essenziale e felicemente sintetizzata nel titolo del suo libro: chi governa il mondo? La risposta solitamente offerta dai manuali di diritto era che «il mondo è governato dagli Stati che, tramite i propri organi esecutivi, stipulano accordi nelle diverse parti del globo» (p. 15). L’insufficienza e l’incompletezza di questa affermazione appaiono oggi evidenti anche agli occhi di un profano che, leggendo le pagine di un giornale, si imbatte in diversi soggetti – dall’ONU all’ICANN (l’ente regolatore globale di Internet) – che con le loro decisioni concorrono al governo mondiale.

Lo scenario attuale presentato dall’A. è, in effetti, quello di un sistema policentrico, costituito da circa duemila organismi regolatori internazionali, che differiscono anche notevolmente tra loro per profili, poteri e aree di azione. I numerosi esempi citati nel volume permettono al lettore di prendere coscienza di questa realtà multiforme, in cui si va da organizzazioni intergovernative come la FAO ad altre che sono esclusivamente private, come la Camera di commercio internazionale. Questi soggetti talora si limitano a definire il quadro giuridico comune all’azione degli Stati, altre volte stabiliscono le linee guida che gli Stati dovranno attuare. In alcuni casi, hanno anche il potere di prendere decisioni i cui effetti incidono direttamente sulla vita dei cittadini dei Paesi coinvolti. Questi organismi regolatori sono talmente numerosi e di rilievo «che oggi può affermarsi che pressoché ogni attività dell’uomo è sottoposta a una qualche forma di disciplina ultrastatale» (p. 19). Una situazione dovuta al fatto che «un numero sempre maggiore di questioni non può essere trattato o risolto esclusivamente dai Governi nazionali» (p. 20), come nel caso paradigmatico dell’ambiente. Inoltre questo scenario è reso ancor più complesso dalla presenza di migliaia di ONG, imprese multinazionali e numerose comunità epistemiche, come quelle degli ambientalisti o dei fisici, che partecipano in vario modo ai processi di governo mondiale.

Per definire questo nuovo regime politico globale ampio, composito e non sempre trasparente, l’A. fa ricorso alla formula global polity. Il termine inglese polity rinvia alla politeia greca ed «è usato per sottolineare la formazione di un “regime politico”, un’idea di “sistema di governo”, i cui lineamenti consentono di superare la vaghezza ormai propria della locuzione global governance» (p. 10), come osservato da Lorenzo Casini nella Prefazione. Il primo capitolo del libro si concentra sulla presentazione dei tratti caratteristici di questo nuovo sistema. La global polity è descritta come un insieme di regimi settoriali, che godono di un’ampia autonomia dal momento che non fanno parte di un unico ordinamento giuridico, come avviene invece all’interno di uno Stato. In questo senso il regime globale ricorda da vicino il sistema feudale. Il carattere frammentario del quadro globale è dovuto alla sua stessa origine: «i Governi nazionali hanno consentito o tollerato, spesso favorito, lo sviluppo di loro concorrenti, ossia regimi regolatori globali che esercitano pubblici poteri, limitando anche le condotte degli Stati» (p. 22), ma solo in aree ben definite, evitando di dar vita a un vero e proprio governo mondiale. Ogni singolo regime è allora il risultato di un processo di bilanciamento realizzatosi nel tempo tra le istanze poste dal livello globale e le esigenze nazionali. Affermando che «la global polity è l’impero della “ad-hoc-crazia”» (p. 22), l’A. ne sottolinea la distanza dal tradizionale paradigma statuale unitario. Questo aspetto si coglie anche quando si considerano gli attori che operano nella sfera della global polity. Se in uno Stato le relazioni sono essenzialmente diadiche, coinvolgendo da un lato il Governo nazionale e la pubblica amministrazione e dall’altro i cittadini come singoli o in forma associativa, nell’ambito della global polity «le relazioni sono normalmente triadiche (tra singoli, Governi nazionali e istituzioni globali)» (p. 67).

La constatazione che le competenze di questi regimi possono riguardare le stesse materie o materie affini pone la questione di come affrontare i casi di sovrapposizione di più regimi regolatori. Non essendovi un ordinamento gerarchico definito, la regolazione dei rapporti e la risoluzione degli eventuali conflitti è demandata soprattutto all’attività di negoziazione internazionale, che provvede a fornire di volta in volta il quadro giuridico di riferimento, istituendo in taluni casi dei tribunali internazionali. In questo nuovo scenario gli Stati nazionali continuano a svolgere un ruolo preponderante e non sempre chiaro. Infatti va ricordato che «la distinzione tra “pubblico” e “privato” è labile» (p. 24) e che la differenza tra chi esercita un ruolo di governo e chi svolge una funzione di controllo è spesso ambigua. In effetti, «i Governi sono al contempo mandanti (perché stabiliscono e controllano le organizzazioni internazionali) e mandatari (perché essi danno attuazione ai regimi globali). Le istituzioni globali sono sottoposte al controllo degli Stati anche se le prime spesso monitorano i secondi. E le organizzazioni internazionali possono essere in diretto contatto con le società civili dei singoli Paesi» (p. 23). Queste osservazioni mettono in luce uno dei nodi centrali della global polity: la definizione odierna del ruolo degli Stati, stretti tra la crescente incidenza delle regolazioni internazionali e lo sviluppo delle autonomie locali e della società civile. Secondo l’A., il modello politico incentrato sui Governi nazionali cede il campo a un nuovo assetto di relazioni: «la global polity è dominata da network, con ruoli fluidi e alleanze variabili. Nell’arena globale, vince chi stabilisce un legame diretto con la società civile, così rompendo il monopolio degli Stati» (p. 35). Una posizione netta sulle prospettive future in un campo che però resta ancora da esplorare appieno, come attestato dalla rassegna delle questioni aperte presente nello stesso libro. Non meno importante è poi la questione della democraticità del nuovo assetto politico globale. Il tema è esplorato attraverso due approfondimenti puntuali che aiutano a cogliere alcune dinamiche in atto piuttosto che dare una risposta generale, segno di una riflessione ancora in divenire. Il primo tema riguarda le modalità di partecipazione dei diversi soggetti, e in particolare la società civile, ai procedimenti avviati dai vari enti regolatori globali. I casi esaminati rivelano un progressivo ampliamento delle forme di partecipazione, elemento che accresce il carattere equo e trasparente dei procedimenti. La grande novità è data dall’apertura alla partecipazione della società civile nazionale a processi decisionali tradizionalmente riservati agli Stati. Questo «è il risultato dell’incremento della disciplina globale delle attività private: più le organizzazioni ultrastatali stabiliscono standard globali per soggetti privati, più questi ultimi cercano di partecipare ai procedimenti volti alla formazione degli standard stessi» (p. 87). Inoltre, la partecipazione della società civile contribuisce a legittimare l’azione di soggetti globali, il cui profilo è ben diverso da quello delle autorità nazionali elette democraticamente.

Più complesso è il secondo aspetto approfondito: l’impatto del sistema globale sulla democrazia nei singoli Stati. La domanda se la globalizzazione stia favorendo uno sviluppo più democratico delle istituzioni nazionali o stia irrimediabilmente erodendo la sovranità dei singoli Stati non ha ancora una risposta pacifica. Senza entrare nella discussione, il libro considera alcuni casi concreti (ad esempio i requisiti di democrazia fissati dall’UE per l’ammissione di nuovi Stati o l’intervento militare internazionale del 2003 in Iraq) per valutare il ruolo svolto dalle istituzioni globali nella promozione della democrazia nel mondo. Il quadro che ne risulta è molteplice, ma un dato emerge: senza sminuire l’apporto che può venire da sollecitazioni esterne, l’affermazione della democrazia è connessa al riconoscimento e rispetto dei diritti individuali e all’esistenza di un almeno sufficiente sviluppo economico. Alla fine della lettura del libro si ha la consapevolezza che il tema della global polity è ancora aperto, perché essa «è ancora imperfetta e incompleta, manca di organicità e avanza in modo asimmetrico e settoriale; ma sta avanzando, incessantemente, con estrema rapidità» (p. 132). E questo avanzare impone di ripensare la dimensione statuale e di interrogarsi sul senso assunto dalla parola democrazia se riferita a istituzioni globali.
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