Cento giorni che non torno. Storie di pazzia, di ribellione e di libertà

Valentina Furlanetto
Laterza, Bari-Roma 2024, pp. 288
Scheda di: 

Un viaggio personale e collettivo quello narrato dalla giornalista Valentina Furlanetto nel suo nuovo libro Cento giorni che non torno. Storie di pazzia, di ribellione e di libertà. Un racconto diacronico, spaziale e culturale sul tema della salute mentale, di cui sembra non interessarsi nessuno. Tuttavia, come nota l’A., «sicuramente non si fa abbastanza per garantire a tutti la salute mentale e per risolvere i problemi che affliggono le persone con disturbi mentali, ma se ne discute molto, se ne parla molto, se ne scrive molto, a volte anche a sproposito, soprattutto sul web e sui social» (p. 226).

Le storie che si intrecciano sono tre: il presente dell’A., che scopre che nel 2023 c`è ancora chi muore legato a un letto d’ospedale in seguito a un trattamento sanitario obbligatorio (TSO); la sua infanzia, con gli incontri con la signora Rosa di Guia di Valdobbiadene; la vicenda di Franco Basaglia, celebre psichiatra del Novecento. Queste ultime due storie hanno diversi aspetti in comune: sia Franco sia Rosa sono veneti, sono nati nel 1924 e hanno avuto a che fare con l’ambiente del manicomio. La differenza è che l’uno l’ha vissuto come luogo di lavoro e possibilità di cambiamento, l’altra come una reclusione ammantata da cura.

Il nome di Basaglia richiama alla memoria la legge del 1978 che porta il suo nome, nota come quella che ha chiuso i manicomi. Ma la storia è come sempre più complicata e l’A. ci fornisce le informazioni per andare oltre la superficie: da dove nasce la necessità di compiere questa scelta? Perché la legge è stata identificata con Basaglia? La legislazione è stata preceduta da una sperimentazione valida?

Innanzitutto è necessario capire che cosa fossero i manicomi, che di certo non sono paragonabili ai reparti di psichiatria odierni: luoghi «di isolamento e separazione dei malati in quanto pericolosi, sia in senso fisico che morale» (p. 24), dovei diritti dei pazienti non erano garantiti. Questo lo sappiamo dalle testimonianze dirette, come quelle di Rosa e Basaglia o di diversi autori che per tutto il Novecento richiamavano l’attenzione pubblica all’ignominia di tale condizione.

Leggendo questi resoconti, sembra proprio che, per salvaguardare la società, si togliesse l’umanità alla persona diversa, povera, strana o davvero malata. Infatti «a Gorizia la prima cosa che Basaglia scopre è che non tutti i “matti” sono “matti”, molti sono solo poveri, mendicanti, disadattati, alcolisti, dimenticati, orfani, abbandonati, residui di guerra, solitari, strambi, tutti precipitati in fondo al pozzo del manicomio» (p. 123). A questi non servivano cure come l’elettroshock, le docce fredde, camicie di forza, ecc. Serviva ridare loro la dignità.

Per questo era necessario un cambiamento radicale nel concepire il manicomio: non più un luogo dove isolare le persone, ma dove tentare di curarle in modo olistico, arrivando così a capire chi davvero aveva necessità di cure e chi solo di accoglienza. Il racconto di questo cambiamento è ricco di conquiste e fallimenti, amici e detrattori, accompagnato nel testo da numeri, testi e documenti.

Nell’analisi del percorso della psichiatria l’A. non manca di fare un approfondimento sulla scoperta e sull’uso degli psicofarmaci, che sono stati fondamentali per la riuscita dell’azione di Basaglia nel trattare i pazienti psichiatrici, ma non si possono nascondere gli interessi economici delle case farmaceutiche che sembrano cercare di massimizzarne il consumo (pp. 187-191).

Il libro della Furlanetto inizia e si conclude ai giorni nostri, con una maggior consapevolezza di come sono cambiate le cose riguardo alla salute mentale, da come era concepita a come veniva “curata”. E lo dobbiamo a persone intraprendenti, rivoluzionarie, come Franco Basaglia. Diventiamo anche consapevoli del rischio di trattare tutto come malattia e non come fase normale della vita, che ci presenta gioie e momenti di smarrimento o fatica. E veniamo richiamati con l’esempio di Rosa, Franco e molti altri, a considerare tutti come persone, cercando di andare oltre le apparenze. Se infatti i manicomi fatti di mattoni e calce non esistono più, non mancano dinamiche simili di segregazione del diverso, della ricerca della normalizzazione a tutti i costi, dello stigma a chi è lento o bizzarro o non funzionale alla società contemporanea. E spesso la risposta è invisibile, fatta di parole, comportamenti o farmaci.

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