Capitale e ideologia

Thomas Piketty
La Nave di Teseo, Milano 2020, pp. 1.200, € 25
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L’obiettivo politico e scientifico di Thomas Piketty è lavorare per un mondo meno disuguale. Per fare questo, occorre comprendere il processo attraverso il quale emergono le disuguaglianze. L’approccio non è nuovo: la disuguaglianza è diventata infatti un importante tema di ricerca in economia politica. L’econometria ha sostituito strumenti statistici come la media e la mediana con percentili e decili (il 10% più povero, il 10% più ricco, ecc.), un processo reso possibile dall’interconnessione di grandi banche dati e dalla potenza di calcolo dei computer. Ciò che Piketty fa, per sua stessa ammissione, è applicare queste tecniche al maggior numero possibile di database accessibili. Lo chiamano ideologo, perché tutto sembra portare acqua al suo mulino. Ma è davvero così?

Riprendiamo il suo bestseller del 2013, Il capitale nel XXI secolo. Prima di tutto, per Piketty è importante raccogliere tutte le informazioni utili per quella che chiama la sua “indagine”. Quanto alle fonti, ne fa incetta. Sono rari i capitoli con meno di trenta note a piè di pagina. Utilizza archivi testamentari, contabilità nazionali, riferimenti statistici molteplici, ma si rivolge anche a Balzac e a Jane Austen per capire le disuguaglianze del XIX secolo, agli Aristogatti per ritrarre l’aristocrazia inglese o al film Django Unchained per scoprire il prezzo e la situazione di uno schiavo.

Questa prima analisi delle fonti mostra che il capitale dei più ricchi ha cambiato forma nel corso dei secoli, passando da quello fondiario detenuto da aristocrazia e clero a quello prevalentemente immobiliare e finanziario, concentrato nelle mani di azionisti e grandi imprenditori.

L’analisi di Piketty si concentra su una legge fondamentale del capitalismo: la tendenza all’accumulazione, cioè il fatto di non spendere il denaro che si guadagna ma di conservarlo, aumenta soprattutto in tempi di bassa crescita, cosa che era la situazione più comune in passato ed è oggi la tendenza generale in Occidente. Così, il XXI secolo sarà capitalista.

L’attenzione di Piketty si sposta poi sulla questione della distribuzione di questo accumulo. Il metodo è sempre lo stesso: dai dati accessibili, rielaborati in modo che siano comparabili, Piketty e la sua équipe analizzano la distribuzione del capitale secondo la griglia dei decili: quanto possiede il 10% più povero, quanto il 10% più ricco, o anche lo 0,1% degli ultraricchi. La forza dell’argomento risiede nella portata dell’indagine e nella natura massiccia e convergente dei risultati: ovunque e in ogni momento il capitale attira il capitale; «infatti a colui che ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; ma a colui che non ha, sarà tolto anche quello che ha» (Matteo 13,12). La legge dell’auto-accumulo del capitale sembra ferrea.

Le uniche vere riduzioni delle disuguaglianze, nella storia occidentale, sono avvenute in caso di guerre (con le imposte di guerra prima e per la ricostruzione poi), di rivoluzioni (con espropriazioni, per esempio in seguito all’indipendenza delle colonie), con la fine della schiavitù, con la perdita di potere della Chiesa, ecc. Le disuguaglianze sembrano ridursi solo in tempi di crisi.

Diversamente, il capitale si “autocapitalizza”. Per costringere il capitale di un individuo a rimanere sotto una certa soglia, anche se alta, non basta limitarne la crescita naturale: questo non farà altro che ritardare la comparsa dell’effetto valanga (la crescita esponenziale dello stock di capitale). È necessario toccare il capitale stesso, e non solo il reddito da capitale. Piketty studia e sostiene tre meccanismi: l’imposta di successione progressiva, l’imposta progressiva sul reddito e i meccanismi di riduzione del debito attraverso l’inflazione. Come Cyrano, Piketty, “al fin della licenza” tocca il capitale e chi lo possiede. Propone un’imposta progressiva di successione e sul reddito del 90% per i detentori di patrimoni e di redditi 10mila volte superiori alla media nazionale, nonché un prestito pubblico rimborsabile tramite l’inflazione.

Dopo il successo internazionale de Il capitale nel XXI secolo e la risonanza mediatica delle sue proposte radicali, Piketty è stato stigmatizzato come un puro ideologo, senza alcuna pretesa scientifica. Di fronte a questi attacchi, ha lasciato il suo ruolo di economista per assumere quello di sociologo dei sistemi fondati sulla disuguaglianza e nel suo secondo libro, Capitale e ideologia, intende dimostrare che il discorso ideologico è invece quello dei possidenti. Sulla base di una ricca analisi storica e statistica, Piketty decifra il rapporto tra società e proprietà nel corso dei secoli e a seconda delle civiltà. Se il primo libro è stato criticato come troppo occidentale, il secondo ci porta a esplorare, nella sua indagine storica e su scala mondiale, i sistemi della disuguaglianza e gli argomenti addotti a giustificarli.

L’indagine del commissario Piketty meritava di essere un po’ più mirata, più ritmica, perché a volte si corre il rischio di addormentarsi mentre si legge questo secondo volume, data la mole di dati ed esempi. Se avete l’anima del viaggiatore, non esitate a gustare questo libro a piccole dosi: vi aiuterà a scoprire il mondo arabo, asiatico, slavo, occidentale o africano attraverso il sistema religioso, educativo, fiscale o politico. (Ri)scoprirete le società trifunzionali (aristocrazia, esercito, clero) del Medioevo, il sistema ternario delle caste indù, i regimi di schiavitù americani, ecc. Un libro-caleidoscopio!

Ogni capitolo evidenzia un sistema della disuguaglianza e lo analizza con il metodo dei percentili o dei decili. Per illustrarlo, consideriamo un esempio: l’investimento pubblico per l’istruzione in Francia: Dai dati ufficiali, emerge un sistema disuguale. Come la terra o il capitale finanziario, il capitale educativo si autoaccumula di generazione in generazione. Questo processo è accompagnato da un discorso ideologico, largamente dominante nella società, sulle pari opportunità e sulla meritocrazia. Tuttavia, tutto indica che «nel lungo periodo, sono infatti l’accesso alla formazione e la diffusione delle conoscenze che permettono la riduzione delle disuguaglianze, sia all’interno dei Paesi sia a livello internazionale» (p. 611). Come si elabora un’alternativa?

«Si può dire che ogni ideologia e ogni regime basato sulla disuguaglianza, si fonda su una teoria dei confini e su una teoria della proprietà» (p. 17). Infatti, poiché la ricchezza si accumula automaticamente, solo un vincolo fiscale può forzare la ridistribuzione dei beni. Ora, chi dice “imposta” deve definire la comunità “imponibile”, cioè il limite del territorio soggetto a imposta.

Se si incrociano le posizioni politiche relative alle frontiere (aperte-chiuse) e alla proprietà (egualitario-inegualitario), si ottengono quattro punti di vista che rappresentano ciascuno circa un quarto degli elettori francesi nel 2017 (cfr p. 900). Piketty è convinto che siamo entrati in una fase di neoproprietarismo, assunto e fatto proprio da quasi tutti, anche dai meno abbienti. «L’ideologia proprietarista si basa su un presupposto molto semplice: l’ordine sociale e politico deve fondarsi innanzitutto sulla tutela del diritto alla proprietà privata, sia per ragioni di emancipazione individuale, sia per ragioni di stabilità sociale» (p. 227). Questo sviluppo, di cui gli Stati Uniti sono il massimo rappresentante, non è una buona notizia per la riduzione delle disuguaglianze quando vediamo come «le società socialdemocratiche europee sono quelle in cui la disuguaglianza è aumentata di meno tra il 1980 e il 2018. In questo senso, il modello socialdemocratico europeo sembra essere più protettivo di tutti gli altri modelli (soprattutto del misero welfare statunitense)» (p. 561).

Il socialismo democratico può rappresentare una visione alternativa all’ideologia proprietarista e antiegualitaria? Piketty ne dubita, perché per lui la lotta riguarda soprattutto la giustizia educativa. Tuttavia, dal 1950 i partiti di sinistra in Francia, Inghilterra e Stati Uniti hanno perso il sostegno delle fasce meno istruite, per diventare “partiti di diplomati e laureati”, ciò che lui chiama “sinistra bramina” [in italiano diremmo la sinistra radical-chic, N.d.T.]. Se l’istruzione è il modo migliore per ridurre le disuguaglianze, come può la sinistra rimettersi in contatto con chi reclama un’istruzione equa? In che modo la sinistra si metterà dalla parte di chi viene lasciato indietro?

Piketty mette radicalmente in questione il nostro rapporto con la proprietà privata. A che cosa serve, a livello sociale, familiare, politico, ideologico? Gli esempi di Stati Uniti, Europa, Brasile, Russia, Iran e Cina sono illuminanti, ma non sono sufficienti a fornire la soluzione.

Definire Thomas Piketty un ideologo non è né un insulto né un’imprecisione. Il suo lavoro è scientificamente serio e ha un impatto reale sul modo in cui gli economisti vedono la disuguaglianza, anche se si può discutere il modo in cui interpreta i dati. Ad esempio, la sua lettura delle disuguaglianze nell’investimento pubblico nell’istruzione è illuminante, ma da nessuna parte menziona che esistono altre risorse pubbliche destinate alla formazione dei giovani che abbandonano la scuola.

La questione della proprietà è al centro dei suoi libri, ma non parla molto del rapporto con la natura e il pianeta. Eppure i cambiamenti climatici stanno modificando le nozioni di confine e di proprietà. Il pianeta è la casa comune di noi tutti e anche delle generazioni future. Quali sono i confini all’interno di questo quadro, e a chi appartengono le risorse limitate della nostra terra? Attendiamo con impazienza il terzo volume della trilogia, che potrebbe offrire una visione egualitaria in questi tempi di transizione ecologica.

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