Buongiorno notte
di Marco Bellocchio
Italia 2003, Drammatico, 105 min
La trama del film
Il film racconta
i drammatici fatti
del rapimento
e dell’assasinio di Aldo Moro, intrecciati
alla vicenda personale
della brigatista Chiara, assalita da scrupoli
di coscienza.
Marco Bellocchio ripercorre la storia del rapimento e dell’uccisione di Moro con il film Buongiorno, notte (2003), ispirato al libro Il prigioniero (1988), scritto dalla ex brigatista Anna Laura Braghetti, intestataria dell’appartamento dove fu detenuto il Segretario della DC e che si finse la fidanzata di uno degli uomini del commando.
Seppure il regista non miri a una minuziosa ricostruzione storica dei fatti, la narrazione viene supportata abilmente dal ricorso a spezzoni di alcuni documenti televisivi dell’epoca, oltre che alle parole delle lettere scritte da Moro ad amici e famigliari durante i cinquantacinque giorni di prigionia, parole che non lasciarono indifferenti neanche gli stessi terroristi protagonisti del rapimento.
Accanto al “caso Moro”, Bellocchio racconta la storia di Chiara, interpretata da Maya Sansa, l’unica donna tra i brigatisti coinvolti nel sequestro, da sempre convinta che per una rivoluzione fosse necessario affermare la propria forza e che per dimostrare che le Brigate rosse erano davvero pronte a tutto bisognasse uccidere lo statista democristiano come atto simbolico.
La giovane, prima bisognosa di controllare continuamente la presenza dello statista, per assicurarsi che quanto stava accadendo non fosse un sogno, di fronte alla realtà del crimine che sta compiendo finisce per entrare in conflitto con i suoi stessi ideali di rivoluzionaria, le sue certezze iniziano a incrinarsi e i sentimenti prevalgono. Chiara arriva così a scontrarsi apertamente con gli altri compagni, sempre pervasi dall’odio e dalla certezza che un atto così violento sia indispensabile per la rivoluzione. Iniziano così a intrecciarsi nella vicenda del film il “caso Moro” e la posizione di Chiara.
Bellocchio vela però l’immagine di Moro, senza soffermarsi in particolare sulla sua autorità, sul potere che lo statista ebbe in quei tempi, o sulla sua condizione di prigioniero; non approfondisce un’analisi politica o le dinamiche del sequestro, ma sceglie di raccontare la vicenda secondo il punto di vista di Chiara, mettendo in luce una prospettiva nuova, insolita. Ciò che emerge quindi è la condizione di chi si scontra con le proprie emozioni riuscendo a ritrovare il senno, a riemergere da un mare di violenta follia e di ideali depravati; di chi si accorge della prigione in cui sta vivendo e vuole uscirne.
Il film è stato particolarmente apprezzato anche dai parenti dello stesso Aldo Moro, oltre che da alcuni brigatisti, che hanno sottolineato come esso riesca a far percepire l’impronta che l’incontro con il segreteario della DC lasciò realmente su alcuni componenti delle Brigate rosse.
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