Sono cresciuto affascinato dai mondi fantastici portati in scena da Star Wars e da Il Signore degli Anelli, ma mancava sempre qualcosa: di fatto, nessuno di quei mondi mi assomigliava. Le persone di colore presenti in questi film o erano rappresentate in modo caricaturale o galleggiavano in un mondo post-razziale. Come si può immaginare un futuro nel quale le persone di colore rivestono vari ruoli, senza cancellare allo stesso tempo il retaggio del razzismo?
Black Panther riempie questo vuoto in modo energico. Il film è ambientato in Wakanda, un Paese africano che possiede il vibranio, il metallo più forte presente sulla Terra. Per tutti Wakanda è un Paese del Terzo mondo, ma questa nazione isolata, all’insaputa di tutti, grazie al vibranio è diventata la società tecnologicamente più avanzata della Terra. Il film inizia nel 1992 con un giovane T’Chaka, capo di Wakanda, e padre di T’Challa, che interroga il fratello N’Jobu, che vive ad Oakland, in California, come spia di Wakanda ma che nel tempo ha fatto proprie posizioni estremiste e tradisce il suo Paese vendendo il vibranio al losco personaggio Ulysses Klaue. Alla fine, T’Chaka uccide suo fratello, ma lascia in vita il nipote, N’Jadaka, che cresce e diviene Erik “Killmonger” Stevens. La storia del film ruota attorno alla rabbia vendicativa di Killmonger e allo scontro con il cugino T’Challa, che dopo la morte del padre è divenuto la Pantera nera (Black Panther) e il capo della tribù dei Wakanda, e a cui il cugino Killmonger cerca di sottrarre il trono, una volta tornato a Wakanda. Il suo progetto infatti è di armare con il vibranio le persone di colore oppresse in tutto il mondo, per poter sovvertire il potere coloniale. Portando avanti il suo piano, Killmonger fa emergere le tensioni morali presenti all’interno della politica isolazionista di Wakanda e la crisi che mette in discussione la leadership di T’Challa: la linea di confine tra eroi e antagonisti è sfumata in modo convincente.
Ciò che distingue Black Panther dagli altri film di supereroi è l’afrofuturismo [una corrente culturale degli anni ’70, che esplora i punti di contatto tra la cultura degli afroamericani e la tecnologia, N.d.R.], un genere carico di contaminazione, non lineare, che guarda a futuri possibili e a realtà alternative attraverso lenti culturali afroamericane, mescolando futuro, passato e presente, in cui il film rientra decisamente per la sua estetica, musica e molteplicità di significati. Black Panther crea un mondo fantastico, che parla in modo diretto alle realtà del nostro presente e della storia in corso come l’opera della scrittrice di fantascienza afroamericana Octavia Butler. In questo mondo i personaggi di colore sono in grado di muoversi e respirare, a differenza del modo in cui alcuni personaggi di colore sono tristemente usati nel mondo futuristico degli ultimi, più multiformi, film di Star Wars.
Senza relegare gli uomini in un ruolo di secondo piano, sono le donne di Wakanda a rendere davvero brillante il film e Shuri, sorella più piccola di T’Challa e capo degli scienziati, è probabilmente il personaggio più affascinante. Il sovrano T’Challa spesso si presenta come un protagonista abbastanza debole, dipendente dalle donne, come ad esempio l’attenta e matura generalessa Okoye, e quando Killmonger lo depone, apparentemente uccidendolo, il futuro del Paese dipende dalla spia Nakia.
Grazie alla descrizione delle influenze culturali africane, della cosmologia africana, della lotta con l’identità della diaspora africana, Black Panther possiede ricchi livelli di significato. Il regista Ryan Coogler ha affermato in diverse interviste di essere fortemente interessato al tema dell’identità. Forse è per questo motivo che alcune delle scene più importanti del film sono punteggiate dalla domanda «Chi sei?», come quando Killmonger rivendica il trono o nella sequenza finale con T’Challa a Oakland. La pellicola descrive la moralità dei suoi personaggi con varie sfumature ed evidenzia profonde tensioni politiche in atto. Niente è bianco e nero. Il “buono” T’Challa è accecato dai suoi privilegi e dalla distanza che lo separa dalla sofferenza delle persone di colore nel mondo. Il “cattivo” Killmonger ha spesso ragione su ciò che sta succedendo fuori da Wakanda e sull’ipocrisia del suo Paese. Anche la generalessa Okoye si trova combattuta tra sua lealtà verso il trono e la convinzione che Killmonger non sia adatto a essere re.
Un personaggio che non ha spessore è l’agente della CIA Everett Ross, un bianco. È legittima la critica che sia presentato come la figura monodimensionale di un alleato, ma Ryan Coogler non fa altro che trasporre nel film una dinamica già presente nel fumetto. In realtà, ha realizzato qualcosa di sorprendente riducendo Ross a un ruolo simbolico e dando spazio al più interessante “cattivo” bianco Klaue, anche se il film non si focalizza mai su di loro, che si limitano a ruotare attorno alla storia e all’azione dei personaggi di colore.
Le tensioni politiche corrono in maniera profonda nel racconto. A un livello superficiale, è chiaro che l’isolazionismo di Wakanda è messo in competizione con l’internazionalismo estremista di Kill-monger, ma sarebbe sbagliato concludere che il film presenti agli spettatori una secca alternativa tra l’uno o l’altro, perché entrambe le opzioni si rivelano negative.
A causa dell’isolazionismo, Wakanda non è in contatto con il mondo e per questo non è solidale con quanti soffrono. Dall’altro lato, Killmonger mostra che cosa accade quando una rabbia giustificata e il trauma sono legati a un approccio esclusivamente vendicativo. Egli è la personificazione letterale della mentalità secondo cui è necessario distruggere tutto, come simbolicamente rappresenta la scena dell’incendio del giardino reale in cui si trova l’erba a forma di cuore che dà i suoi poteri alla Pantera nera. Nel suo fanatismo, enfatizzato dalla preparazione militare, Killmonger è disposto a ridurre in macerie chiunque e qualunque cosa incontri nel suo percorso di rifondare il mondo. In tutto questo, Killmonger trova in W’Kabi un entusiasta sostenitore del progetto di rovesciare l’equilibrio tra conquistatori e conquistati, rendendo Wakanda responsabile del nuovo ordine globale.
C’è quindi una terza opzione? Quando Killmonger muore, sembra che T’Challa, sopravvissuto al suo attacco, abbia in parte assorbito le sue critiche. Tra le sue prime decisioni, crea un centro di Wakanda a Oakland con la presenza di Nakia e Shuri e una scena dopo i titoli di coda mostra T’Challa che parla alle Nazioni Unite, confermando il nuovo corso politico che sta iniziando a Wakanda.
La politica del sovrano, tuttavia, si conforma tristemente allo status quo. Nonostante il film riconosca in vari punti la natura sistematica della globale oppressione razziale, si accontenta di poco, seguendo il globalismo neoliberale secondo cui la risposta migliore all’oppressione è la filantropia, i programmi dopo scuola e la formazione STEM (percorsi formativi che si concentrano su quattro discipline: scienza, tecnologia, ingegneria e matematica) per bambini svantaggiati. Questi sforzi non sono male e sono meglio che niente, ma non sono neanche lontanamente sufficienti e fare ricorso ad essi presuppone il fare proprio un quadro d’insieme difettoso.
Alcuni critici hanno manifestato disagio per il fatto che l’unico rappresentante di una alternativa più radicale sia un estremista afroamericano come Killmonger. Tuttavia, prima che Killmonger si scontri con T’Challa, Nakia offre la sua alternativa politica. Nella parte iniziale del film, dopo una missione per fermare i trafficanti di sesso nigeriani, Nakia implora T’Challa che la loro nazione faccia molto di più, incluso accogliere i rifugiati: «Wakanda è forte abbastanza da aiutare gli altri e proteggere se stessa». L’orientamento politico di Nakia, influenzata dalla sua esperienza come spia all’estero, è decisamente più attivo e inclusivo di quello di T’Challa, che dal punto di vista politico è più conservatore.
La visione di Black Panther suscita discussioni interessanti e solleva alcune questioni fondamentali, indipendentemente dalle scelte politiche finali di T’Challa. Il modo in cui è rappresentata la questione afroamericana è allo stesso tempo importante e limitato. Forse è per questo motivo che i recenti ritratti di Barack e Michelle Obama hanno scatenato un dibattito così acceso. È importante però essere in grado di apprezzare qualcosa per ciò che è e per ciò che non è.
Black Panther è una complessa opera d’arte, profonda dal punto di vista sia morale sia politico, che può fare molto per l’immaginazione dei bambini di colore in tutto il mondo. Il regista Ryan Coogler non si è limitato semplicemente a presentarci una storia. Ha usato gli ingredienti maturi di un fumetto della Marvel per creare qualcosa di sostanziale.
Titolo originale: «Why “Black Panther” is the movie Hollywood – and America – needs», in <www.americamagazine.org>, 22 febbraio 2018. Traduzione di Chiara Pastori.