Berlinguer. La grande ambizione

regia di Andrea Segre
Italia, Belgio, Bulgaria, 2024, biografico, storico, 123'
Scheda di: 
Fascicolo: dicembre 2024

I cinque anni che vanno dal 1973 al 1978 sono stati cruciali per la storia italiana. Li racconta nel dettaglio Andrea Segre nel suo ultimo film Berlinguer. La grande ambizione, restituendoci la temperie del tempo attraverso l’operato di Enrico Berlinguer, segretario del PCI dal 1972 al 1984, che in quel quinquennio espresse il cuore del suo pensiero politico. La sua grande ambizione fu il tentativo di realizzare una transizione democratica al socialismo nel nostro Paese, passando attraverso l’unificazione delle forze popolari socialiste e comuniste, in cooperazione imprescindibile con quelle cattoliche. L’intuizione di Berlinguer fu quella di cercare di agire dal basso, come diremmo oggi, per evitare di creare spaccature politiche e sociali nel Paese, dimostrando di aver saputo apprendere la lezione cilena del 1973, con l’instaurazione della dittatura militare e conservatrice di Pinochet dopo il colpo di Stato che aveva abbattuto il governo socialista di Salvador Allende.

Con la vittoria del “No” al referendum del 1974 per l’abrogazione della legge sul divorzio, da cui la DC esce pesantemente sconfitta, si assiste a un momento di forte crescita del PCI, che si afferma alle amministrative del giugno 1975. Berlinguer celebra questo successo con toni pacati e democratici, esortando nei suoi comizi la popolazione a non avere paura dell’avanzata del comunismo, che si basa, nella sua visione, su rapporti animati dalla solidarietà, qualcosa di cui tutto il popolo ha sete. Parallelamente alla politica interna, Berlinguer gestisce anche il rapporto con Mosca, sottraendosi all’influenza diretta del Partito comunista dell’Unione Sovietica per mantenere l’indipendenza del PCI rinunciando ai finanziamenti speciali che fino a quel momento arrivavano dalla capitale russa.

Con la crisi di governo del 1976 si arriva al cuore dell’azione di Berlinguer: vengono indette nuove elezioni, dove il PCI si afferma nettamente, rendendo impossibile ignorarlo. Berlinguer tenta di tradurre a livello istituzionale il favore riscosso tra le forze popolari, avviando quel processo politico noto come “compromesso storico”, in cui egli cerca attivamente di costruire con la DC un Governo di unità nazionale, unica via per dare stabilità al Paese e difenderlo dalle posizioni eversive, impedendo che possano tornare al potere i fascisti. Si apre così la lunga e delicata trattativa con Aldo Moro, allora segretario della DC, unica voce del partito che condivide la visione di Berlinguer ma che nello stesso tempo comprende che per portare i “suoi” ad accettare questa soluzione occorre muoversi con molta cautela. Il rapimento e l’uccisione di Moro, nel 1978, per mano delle Brigate rosse impediscono tuttavia la realizzazione di questa transizione. Un epilogo drammatico, fa capire il film, anche a causa delle scelte dei grandi poteri, dal capitalismo alle forze di Governo, che con la scusa di non voler scendere a patti con un gruppo di terroristi, lasciano che venga eliminato un pericolo per il mantenimento dello status quo.

Si esce dalla sala del cinema con la sensazione che l’Italia abbia perso in quegli anni la grande opportunità di diventare un Paese politicamente stabile grazie all’unione di tutte le forze popolari dello spettro politico e che il trionfo delle ragioni di parte non abbia permesso di attuare un processo vero di riconciliazione tra le componenti del Paese dopo l’esperienza ancora recente del fascismo, lasciando sotto traccia rancori mai sopiti e pronti a risollevare la testa. Il sistematico e riuscito tentativo di abbattere i ponti che Berlinguer e Moro stavano costruendo ci ha trasformato nel Paese spaccato e individualista che siamo oggi. Ancora più impressionante è vedere nelle immagini di repertorio che Segre introduce nel film i grandi cortei: eravamo un Paese capace di scendere in piazza. Eravamo un Paese dove milioni di persone credevano nella politica e nel potere buono che avrebbe potuto avere. Eravamo un Paese dove milioni di persone andavano a votare. Si esce con il desiderio di ritrovare quanto meno l’aspirazione a costruire il bene comune e collettivo di una nazione oggi troppo divisa, dove i problemi e gli interessi individuali, di qualunque parte siano, accecano lo sguardo più ampio che si deve avere quando si parla di cittadini e di Stato. Il merito di Segre è non solo quello di fare memoria di un Berlinguer grande politico e grande uomo, ma di averci ricordato che gli italiani sono stati un popolo unito, che era sul punto di andare oltre e di vivere una vera alleanza popolare. Una memoria che dobbiamo trovare il modo di riproporre, con forme nuove e attuali, ma da cui non distogliere lo sguardo.

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