Anziani non autosufficienti: il tempo per la riforma dell’assistenza è ora

L’esperienza della pandemia, con il dramma dei contagi e delle morti nelle case di riposo, e il divieto di visite da parte dei familiari, e le settimane del lockdown, con le migliaia di volontari impegnati a consegnare generi di prima necessità agli anziani soli nelle nostre città, hanno reso ancora più evidente quanto cruciale sia la questione della non autosufficienza nel nostro Paese. Si tratta di una vera e propria emergenza sociale, che tuttavia fatica a imporsi nel dibattito pubblico. A dire il vero, il tema appare nei programmi elettorali delle principali coalizioni (a parte il centrodestra), sia pure con un diverso grado di dettaglio e di approfondimento. Tuttavia non si può certo dire che sia una delle questioni su cui insiste la campagna elettorale. La cosa stupisce, anche perché la riforma dei servizi di assistenza per le persone non autosufficienti rientra nella Missione 5 “Inclusione e coesione” del PNRR. Dunque si tratta di una delle prime questioni che il nuovo Governo dovrà affrontare per rispettare la tabella di marcia del PNRR, anche se nessuno dei programmi elettorali sembra esserne consapevole.

In realtà, il fatto che il tema sia rimasto ai margini del dibattito elettorale potrebbe rappresentare una buona notizia. La riforma richiederà un dialogo tra soggetti numerosi e diversificati, in vario modo coinvolti: enti locali con diverse competenze (Regioni e Comuni), enti del Terzo settore, associazioni e organizzazioni della società civile, oltre ovviamente ai cittadini direttamente interessati e alle loro famiglie. Un clima non avvelenato dagli strascichi delle polemiche pre-elettorali potrà favorire questo dialogo in vista di soluzioni davvero efficaci. In questa luce, e pensando all’agenda del Governo che uscirà dalle prossime elezioni, diamo spazio a un’articolata proposta elaborata da un cartello di organizzazioni della società civile. L’auspicio è che le riforme che il prossimo Esecutivo dovrà mettere in cantiere, a partire da quella dell’assistenza, siano condotte non sulla base di posizioni “di bandiera”, ma in dialogo con quanti ogni giorno si misurano con i problemi concreti della società.

 

 

Si stima che in Italia gli anziani “non autonomi” siano quasi 3 milioni (circa il 5% della popolazione): in larghissima parte vivono in famiglia, mentre solo il 10% risiede permanentemente in strutture (le case di riposo o RSA). La demografia ci dice che questi numeri sono in tendenziale aumento: siamo uno dei Paesi più longevi al mondo e all’invecchiamento della popolazione si associano una sempre minore autonomia delle persone nella gestione della vita quotidiana e un peggioramento delle condizioni di salute. Ad esempio, negli ultraottantenni la compresenza di patologie croniche, in gergo comorbilità, è raddoppiata in vent’anni. La pandemia è stata per le nostre comunità l’occasione di prendere coscienza dell’urgenza di “fare qualcosa” per i nostri anziani, e di farlo subito, bene, insieme e con competenza.

Da questa consapevolezza ha preso le mosse una iniziativa di mobilitazione organizzata che, a partire dal luglio 2021, ha “unito le forze” e le competenze, portando alla nascita di una coalizione denominata “Patto per un nuovo welfare per la non autosufficienza” (www.pattononautosufficienza.it), di cui fanno parte oltre 50 associazioni e soggetti che rappresentano la gran parte del vasto e variegato universo della comunità della non autosufficienza del nostro Paese, tra cui Caritas italiana. Partendo dalle lacune dell’attuale sistema, si è cercato di costruire una proposta complessiva che mettesse insieme bisogni degli anziani, esigenze delle famiglie, fatiche degli operatori del settore e dei gestori di residenze per anziani e individuasse soluzioni migliorative a 360 gradi.

Il primo grande successo del Patto, grazie a un lavoro di informazione e pressione mirata a livello istituzionale, è essere riuscito a fare inserire la riforma dell’assistenza agli anziani non autosufficienti nella seconda versione del PNRR, cioè tra le azioni prioritarie per la ripresa dell’Italia dopo la pandemia. In questo modo sono stati assunti impegni vincolati alla stringente tabella di marcia del PNRR: approvazione di una legge delega entro la primavera del 2023 e dei decreti attuativi per rendere effettiva la riforma entro il primo semestre del 2024. Si è così riusciti a “blindare” questo lungo e faticoso iter legislativo, che però è ancora a rischio nella fase di transizione politica che stiamo vivendo in queste settimane.

In vista di questa riforma, il Patto ha elaborato un’articolata proposta, frutto di uno scambio e un confronto molto partecipato fra le organizzazioni aderenti. Le soluzioni individuate non sono innovative in sé, ma lo sono rispetto alla realtà del welfare italiano. Il cuore della proposta consiste nella creazione di un Sistema Nazionale Assistenza Anziani (SNA), che dovrebbe collocare dentro una cornice unitaria le tre filiere istituzionali che si occupano di non autosufficienza e che al momento sono molto poco coordinate: le politiche sanitarie, le politiche sociali e i trasferimenti monetari dell’INPS. È un obiettivo tanto ambizioso quanto realistico, in quanto è l’unica strada per un effettivo miglioramento del sistema dei servizi e quindi della condizione di anziani e famiglie.

Lo SNA prevede innanzitutto un percorso unico per gli anziani e le loro famiglie per accedere alla rete del welfare: un punto unico di accesso (PUA) che fornisca orientamento, informazione e supporto amministrativo a cui anziani e famiglie possono facilmente rivolgersi in caso di bisogno; un’unica valutazione nazionale di base (VBN) della condizione dell’anziano per definire quali siano le prestazioni nazionali che può ricevere (indennità di accompagnamento, agevolazioni fiscali, congedi e permessi di lavoro per i caregiver, ecc.); se ammessi allo SNA, gli anziani vengono poi indirizzati alla successiva valutazione territoriale di titolarità di ASL e Comuni, che costruiscono congiuntamente – ecco l’altra novità – il progetto assistenziale integrato (PAI). Rispetto a oggi il percorso diventerebbe più trasparente e agevole nell’accesso ai diritti (punto di accesso), semplice (si passa da cinque-sei valutazioni a due) e continuativo (le due valutazioni sono collegate).

Un ulteriore elemento di novità consiste nella costruzione di una filiera di risposte pubbliche fortemente integrate, differenziate e complementari, che si snodino dall’assistenza domiciliare a quella semiresidenziale e residenziale a seconda della gravità e della tipologia di bisogno dell’anziano. Rispetto all’indennità di accompagnamento, la proposta del Patto ne prevede la sostituzione in chiave migliorativa con una prestazione universale per la non autosufficienza, che andrebbe erogata a chiunque ne abbia bisogno indipendentemente dalle condizioni economiche, modulando però gli importi in base al fabbisogno assistenziale delle persone (chi ha maggiori bisogni riceverà di più).

Messo a punto il progetto, si tratta ora di passare alla sua realizzazione, a partire dall’approvazione della legge delega entro i tempi previsti, come è stato ribadito durante il Seminario “Un nuovo patto per la non autosufficienza” promosso da Caritas Italiana e ACLI lo scorso 7 settembre: «Non possiamo né dobbiamo lasciare che le turbolenze politico-istituzionali interrompano un percorso così faticosamente avviato – ha affermato don Marco Pagniello, direttore di Caritas – la discontinuità della politica mal si accorda con la continuità dei processi sociali». Quello degli anziani non autosufficienti è un tema troppo urgente per poter essere trascurato ancora una volta.

 

16 settembre 2022
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