Abitare lo spazio della fragilità
Oltre la cultura dell’homo infirmus
Giovanni Cucci
Ancora-La Civiltà Cattolica, Milano 2014, pp. 159, € 16
Aprendo il suo libro con il ritratto del protagonista ossessionato dalle malattie e per questo incapace di vivere del film Hannah e le sue sorelle di Woody Allen, Giovanni Cucci ci introduce a un aspetto che caratterizza sempre più le società occidentali negli ultimi decenni: la ricerca spasmodica del benessere psicofisico e la crescita delle patologie, in particolare quelle psichiche (ricordiamo che negli ultimi 40 anni sono triplicati i disturbi censiti dal Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali).
Il libro non intende criticare la medicina, la psicologia o la psichiatria (tra l’altro l’autore è uno psicologo a sua volta), ma è una presa di distanza da una proposta culturale sempre più diffusa, definita “cultura terapeutica”. Con questa espressione si intende «la tendenza a esasperare l’aspetto malato delle persone» (p. 7) accompagnata dal messaggio, trasmesso fin dalla più tenera età, «che siamo troppo fragili per affrontare le difficoltà della vita e che è possibile al massimo limitare i danni, facendosi curare» (p. 32). Si delinea così una nuova figura di uomo, strutturalmente malato e privo del gusto di vivere (l’homo infirmus), che prende il posto di quello capace di trasformare il mondo (homo faber).
L’A. non si limita a registrare l’emergere di questa tendenza e a segnalarne le criticità, ma elabora una visione alternativa che si propone di ridare pregnanza all’esistenza umana, attribuendo un ruolo centrale all’educazione e sottolineando l’importanza che vi sia «un orizzonte di valori capaci di superare la dimensione puntuale del qui e ora» (p. 124). Una strada necessaria da percorrere perché «quando non trova un significato per la propria vita l’uomo, anche se in buona salute, finisce per scegliere volontariamente la morte» (p. 128).
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