Part-time per tutti: la proposta di Jennifer Nedelsky

Jennifer Nedelsky è professore ordinario all’Università di Toronto (Canada). Il suo insegnamento e le sue ricerche si sono concentrati sulla teoria femminista, le teorie del giudizio, la storia costituzionale americana e la sua interpretazione, le dottrine costituzionali comparate. È membro del Consiglio di amministrazione della Società americana per la storia legale ed è attiva nell’Associazione americana delle scienze politiche, nell’Associazione legale e sociale e nella Società canadese per le donne in filosofia. 

In una società in cui la cura degli anziani, dei bambini, dei malati è in buona parte lasciata alla donna o ritenuta un lavoro meno importante da delegare ad altri, la Nedelsky propone la nascita di nuove prassi che cambino radicalmente il nostro modo di vivere insieme e di lavorare. Quali trasformazioni ci attendono nel mondo del lavoro futuro? Invitata nei mesi scorsi a partecipare a un incontro in preparazione della Settimana Sociale di Cagliari, abbiamo voluto intervistarla e parlare con lei delle sue idee rivoluzionarie. Di seguito le prime due domande/risposte dell'intervista a cura di Alberto Ratti, della redazione di Aggiornamenti Sociali. Clicca qui per scaricare l'intera intervista.


Prof.ssa Nedelsky, lei è nel panorama attuale una delle voci più innovative sul tema del lavoro, delle relazioni sociali e dei diritti. Nei suoi discorsi sostiene che senza cambiamenti sociali e collettivi nella “cultura della cura” (traduciamo così il termine inglese care) in rapporto alla “cultura del lavoro”, la democrazia e l’uguaglianza verranno sostanzialmente negate. Qual è la sua proposta di cambiamento? In che cosa consiste?

L’attuale legislazione del mercato del lavoro non risponde più alle esigenze della società. Per questo motivo ho avanzato una proposta che ne ridiscute i parametri fondamentali. Ciò che propongo è che tutti gli adulti abili al lavoro siano impiegati a tempo parziale (quello che ora chiameremmo part-time) per non meno di 12 e non più di 30 ore alla settimana, e che svolgano attività di cura non pagate part-time, anche queste tra le 12 e le 30 ore settimanali. Si tratterebbe innanzitutto di un cambiamento di mentalità e culturale, oltre che legislativo. Le persone si incoraggerebbero reciprocamente a resistere alla tentazione di assumere più lavoro, sosterrebbero e apprezzerebbero le attività di cura, nonché il tempo libero. In poche parole, le nuove norme genererebbero un cambiamento – sostenuto collettivamente – circa il modo in cui le persone organizzano il proprio tempo, sperimentando così la diminuzione dello stress e della pressione relativi alla “povertà di tempo”. 

Al contrario, il mancato rispetto di queste norme, lavorando molte ore o non partecipando alle attività di cura, genererebbe una sorta di disapprovazione e imbarazzo, cosa che invece oggi si verifica se un maschio adulto abile al lavoro annunciasse nel bel mezzo di una festa di non aver mai lavorato. Così le nuove norme sul lavoro e sulle attività di cura sarebbero fatte rispettare da severi vincoli sociali: ritengo molto importante, infatti, che la trasformazione che propongo non sia imposta solo dall’alto dallo Stato e dalla sua legge, ma prima diventi efficace grazie ai potenti meccanismi di stima e di biasimo sociale. Il mio progetto è quello di cambiare radicalmente il genere di situazioni che suscitano approvazione e disapprovazione tra i colleghi, gli amici, la famiglia, i vicini e la società in generale, tuttavia mi auguro che le nuove norme vengano promosse più dal sostegno e dall’incoraggiamento che dalla disapprovazione.
 

Nella sua proposta hanno grande rilevanza le “attività di cura”. Di che cosa si tratta?

Esiste una grande varietà di definizioni utilizzate dagli studiosi per meglio descrivere le “attività di cura”. Io intendo la cura che si rivolge a persone particolari, che potrebbero includere una famiglia o un altro piccolo gruppo, o perfino coloro che vivono in un determinato quartiere di una città. Queste sono persone con esigenze materiali o emotive che spesso non sono in grado di soddisfare autonomamente (come i bambini, gli ammalati o gli anziani). Dico “spesso” perché potrebbe anche esserci regolarmente condivisione o scambio di attività di cura tra persone in grado di farlo. In queste attività rientra il consueto insieme di mansioni domestiche: pulire, fare la spesa, cucinare, fare il bagno ai bambini, cambiar loro i pannolini, portarli a scuola, aiutarli a fare i compiti, fare il bucato, ma anche mantenere i marciapiedi sicuri spalando la neve, leggere e fare compagnia a un ammalato o a un anziano, portar loro i pasti, chiacchierare con qualcuno che è solo, aiutare chi è depresso a trovare aiuto. 

Vi includo quindi sia le attività di cura alla persona o “affettive”, sia quelle più banali, “materiali” come la pulizia, ma desidero circoscrivere la cura a quelle attività che costruiscono legami personali. Penso che questo sia importante per riconoscere le esigenze, i compensi e l’importanza della cura per il benessere delle persone. Un modo per esprimere questo concetto, sul quale ritornerò, è che quando una persona riceve il tipo di cura che ho in mente, si sente valorizzata e considerata. Ciascuno dovrebbe svolgere tali attività per un tempo significativo, consentendo così sia a chi dona sia a chi riceve di provare reciproco apprezzamento e soddisfazione. È importante a questo proposito che le norme che propongo favoriscano modelli in cui quasi tutti siano, in qualche misura, sia donatori sia riceventi di attività di cura. 

Le responsabilità di cura di una persona inoltre non andrebbero limitate a familiari e amici. Quando le richieste da queste persone più vicine sono relativamente poche, la gente presterà assistenza ai membri della propria comunità. La maggior parte delle persone avrà un considerevole impegno nelle attività di cura durante tutto il corso della vita. Tutti impareranno a fornire assistenza per quanto sono in grado, continuando fino a quando non saranno più in grado di contribuire, anche in modi semplici, come fare visita a qualcuno e raccontare storie. Uno dei vantaggi delle nuove norme riguarda la creatività con cui le persone con capacità limitate, come i bambini e gli anziani, potrebbero contribuire al bene di tutti. In questo modo, tutti potrebbero sperimentare il fatto di essere in prima persona sia riceventi sia donatori di attività di cura, con un’intensità variabile nel tempo e a seconda del contesto.

10 ottobre 2017
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