Dopo la cura per l’ambiente e quella per la famiglia, papa Francesco ha lanciato il Sinodo dei vescovi dell’ottobre 2018, incentrato sulla cura per i giovani e il loro futuro attraverso il discernimento. Presentando il Documento preparatorio, offriamo una chiave metodologica per vivere questo evento.
L’approccio sinodale continua a essere lo stile che caratterizza la Chiesa di papa Francesco. Dopo il lungo percorso dedicato alla famiglia (Sinodo straordinario dell’ottobre 2014 e Sinodo ordinario dell’ottobre 2015), che è sfociato nell’esortazione apostolica postsinodale
Amoris laetitia (19 marzo 2016), è già in preparazione la nuova tappa: si tratta della
XV Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, convocata per l’ottobre 2018 sul tema «I giovani, la fede e il discernimento vocazionale». Questa data appare lontana, ma non deve ingannare: nella declinazione che ne dà papa Francesco, il metodo sinodale comprende una fase preparatoria piuttosto lunga, dedicata all’ascolto delle Chiese locali e non solo, a cui segue un tempo di riflessione e dibattito di cui l’assemblea rappresenta il momento di sintesi. La preparazione all’appuntamento del 2018 è già cominciata lo scorso 13 gennaio con la pubblicazione del
Documento preparatorio (DP, disponibile in <
www.vatican.va>), che si conclude con un questionario che tutte le Conferenze episcopali del mondo sono invitate a compilare e restituire come base del lavoro successivo. Dal prossimo mese di giugno sarà disponibile su un apposito sito un secondo questionario, a cui potranno rispondere i giovani di tutte le parti del mondo.
Il titolo del cammino sinodale accosta tre termini – giovani, fede, discernimento vocazionale –, senza però articolarli, e rischia di lasciare nell’ombra il percorso che li lega, prestandosi a una pluralità di accentuazioni. Il DP è più preciso, ma utilizza un linguaggio appropriato ai suoi destinatari, cioè le Conferenze episcopali, con il pericolo di farlo apparire come un testo unicamente intraecclesiale. Invece
tocca un punto cruciale per l’intera società, e non solo quella italiana:
lo spazio a disposizione dei giovani per tracciare il proprio percorso di vita e il sostegno su cui possono contare per compiere le scelte necessarie a tal fine. Nelle pagine che seguono proveremo a far emergere alcuni dei molti stimoli che il percorso sinodale appena cominciato lancia.
A scanso di equivoci, vale la pena precisare che il DP intende essere fedele al proprio nome ed essere uno strumento per aiutare a comprendere la domanda di partenza del percorso sinodale, delimitarne l’ambito e avviare una riflessione in seno alla Chiesa. Vuole stimolare e interpellare, non offrire una sintesi, e meno ancora fornire indicazioni operative per la pastorale. Nella linea di papa Francesco, il suo obiettivo è avviare un processo, non predeterminarne l’esito. Ugualmente, in poche pagine non può affrontare tutte le sfaccettature della questione: segnala gli elementi essenziali, che le Chiese locali sono chiamate ad articolare creativamente a partire dalle peculiarità del loro contesto.
Un atteggiamento di cura
Fin dalle prime righe dell’Introduzione, il DP formula l’intenzione alla base dell’intero percorso sinodale: «la Chiesa ha deciso di interrogarsi su come accompagnare i giovani a riconoscere e accogliere la chiamata all’amore e alla vita in pienezza». Questa domanda diventa subito l’occasione per rivolgere ai giovani una richiesta di aiuto a «identificare le modalità più efficaci per annunciare oggi la Buona Notizia». All’interno di un’antropologia e di una concezione della vita ispirate dalla fede,
l’interrogativo riguarda innanzitutto il percorso con cui i giovani del mondo contemporaneo affrontano le scelte fondamentali della vita: il matrimonio, il sacerdozio o la vita religiosa, certamente, ma anche l’impegno politico e sociale, la professione, il volontariato, ecc.
La domanda investe anche il modo con cui accompagnarli in questo percorso, perché da un lato assumano attivamente e consapevolmente la responsabilità della scelta e dall’altro abbiano concretamente l’opportunità di raggiungere il traguardo della propria realizzazione e trovare il proprio posto all’interno della collettività.
La questione non riguarda solo la comunità cristiana, ma interpella la società nel suo complesso, in un momento in cui ampie fasce del mondo giovanile sembrano scegliere o subire il destino di non trovare una collocazione precisa: è il caso di quelli che sono definiti NEET (
Not in employment, education or training), cioè giovani senza occupazione e non impegnati in un percorso di istruzione o formazione professionale. L’esistenza del problema è dimostrata anche dalle politiche pubbliche specifiche che puntano ad accompagnare l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro: è il caso di Garanzia Giovani, il programma che dà attuazione in Italia a una iniziativa dell’Unione europea in materia.
Per il DP
la domanda sull’accompagnamento dei giovani alle scelte fondamentali della vita ha un preciso movente. Questo non è di tipo puramente scientifico, come se si trattasse di una indagine sociologica, né tantomeno risponde a una logica di tipo “strategico”, mirante cioè a trovare un modo per contrastare il progressivo svuotamento delle chiese, soprattutto nelle aree più secolarizzate. Non è nemmeno un interrogativo sulla trasmissione ai giovani dei contenuti della fede e delle pratiche con cui essa tradizionalmente si esprime. La motivazione profonda, espressa all’inizio del cap. II, è
il desiderio «di incontrare, accompagnare, prendersi cura di ogni giovane, nessuno escluso. Non possiamo né vogliamo abbandonarli alle solitudini e alle esclusioni a cui il mondo li espone. Che la loro vita sia esperienza buona, che non si perdano su strade di violenza o di morte, che la delusione non li imprigioni nell’alienazione: tutto ciò non può non stare a cuore a chi è stato generato alla vita e alla fede e sa di avere ricevuto un dono grande».
Per la Chiesa si tratta di un movimento di uscita, sulla spinta di una intenzione di cura, che si conferma una parola chiave del pontificato di papa Francesco: la cura della casa comune anima l’enciclica
Laudato si’, quella delle famiglie l’esortazione apostolica
Amoris laetitia.
Questa intenzione di cura mette radicalmente in discussione istituzioni, pratiche e una cultura che rendono molti ambiti delle nostre società gerontocratiche inospitali per i giovani, anche all’interno della Chiesa. Essi stentano a trovare spazi per esprimere il proprio stile e i propri desideri e recare il proprio contributo. Ad esempio, molte ricerche segnalano come le imprese e il mondo del lavoro fatichino a valorizzare le specificità dei giovani che vi fanno ingresso, e come questo finisca per ridurre la capacità di reagire agli stimoli più innovativi:
fare davvero “largo ai giovani”, non solo come slogan retorico, è in realtà una condizione di sostenibilità nel tempo, perché significa disporre l’oggi verso il domani (cfr Costa G.,
«Oltre le pari opportunità: valorizzare generi e generazioni», in
Aggiornamenti Sociali, 3 [2016] 181-188). Il discorso vale anche all’interno della Chiesa. Da questo punto di vista non si tratta di un Sinodo “sui” giovani, ma di un percorso attraverso cui si mettono in discussione le generazioni adulte, che occupano posizioni di leadership e responsabilità, rispetto alla capacità concreta di fare spazio e dare ascolto ai più giovani. Le domande del questionario conclusivo del DP, destinato alle Conferenze episcopali e ai vescovi di tutto il mondo, puntano esattamente a questo obiettivo.
È chiaro altresì che non è possibile affrontare la questione oggetto del percorso sinodale “alle spalle” dei giovani, prescindendo dal loro contributo: sarebbe una contraddizione, perché negherebbe la disponibilità a lasciare loro lo spazio per essere se stessi. A questo scopo risponde l’altro strumento che verrà attivato: un sito Internet, che offrirà a tutti i giovani del mondo la possibilità di esprimere le proprie aspettative ed esigenze, anche nei riguardi della Chiesa. Saranno le risposte a entrambi i questionari a costituire la base per la redazione del Documento di lavoro (
Instrumentum laboris), da cui prenderà avvio la discussione dei Padri sinodali.
Essere giovani oggi
In poche pagine il DP non può certo offrire un’analisi completa della società e del mondo giovanile, tenendo conto anche delle specificità dei diversi contesti culturali e geografici; tuttavia esso sceglie di cominciare dai risultati della ricerca in ambito sociale, per evitare di basarsi su una immagine stereotipata dei giovani. È la stessa esigenza metodologica dell’enciclica
Laudato si’, che comincia assumendo i risultati della ricerca scientifica così da «lasciarcene toccare in profondità e dare una base di concretezza al percorso etico e spirituale che segue» (LS, n. 15). Il cap. I del DP offre dunque un abbozzo dei principali elementi dello scenario al cui interno devono svolgersi la riflessione e il dibattito sinodale: è la condizione perché possano risultare significativi per «tutti i giovani, nessuno escluso», come spesso si ripete, e pertinenti al modo «unico e irripetibile» in cui le attuali giovani generazioni vivono e interpretano la propria giovinezza.
Il primo riferimento per la riflessione è il fatto che mai prima d’oggi l’umanità ha vissuto in un contesto così caratterizzato da trasformazione, fluidità e incertezza, che non va giudicato a priori come un problema o una opportunità. Certo «la crescita dell’incertezza incide sulla condizione di vulnerabilità, cioè la combinazione di malessere sociale e difficoltà economica, e sui vissuti di insicurezza di larghe fasce della popolazione» (cap. I, par. 1). È chiaro che questo impatta sul modo in cui i giovani affrontano le scelte fondamentali, perché il mutamento li obbliga a riadattare continuamente la propria traiettoria di vita. Inoltre, si diffonde una concezione di libertà intesa come possibilità di accedere a opportunità sempre nuove, per cui si considerano tutte le scelte come reversibili.
Non dobbiamo poi dimenticare le disuguaglianze esistenti tra i pochi privilegiati che possono usufruire delle opportunità offerte dai processi di globalizzazione economica e i molti che vivono in situazione di vulnerabilità e di insicurezza: il senso stesso del termine “scelta” risulta ben diverso nelle due situazioni. Infatti il DP invita a prestare attenzione a tutti coloro a cui le condizioni concrete di vita sembrano precludere la possibilità stessa di scegliere: «Pensiamo ai giovani in situazione di povertà ed esclusione; a quelli che crescono senza genitori o famiglia, oppure non hanno la possibilità di andare a scuola; ai bambini e ragazzi di strada di tante periferie; ai giovani disoccupati, sfollati e migranti; a quelli che sono vittime di sfruttamento, tratta e schiavitù; ai bambini e ai ragazzi arruolati a forza in bande criminali o in milizie irregolari; alle spose bambine o alle ragazze costrette a sposarsi contro la loro volontà» (cap. I, par. 2).
Un secondo elemento su cui il DP attira l’attenzione è un effetto della velocità dei cambiamenti in corso, che aumenta la differenza tra le generazioni: «Chi è giovane oggi vive la propria condizione in un mondo diverso dalla generazione dei propri genitori e dei propri educatori» (
ivi). Questo ostacola
la trasmissione intergenerazionale dell’esperienza, perché essa
diventa rapidamente obsoleta. L’accompagnamento alle scelte deve confrontarsi con questo elemento e favorire l’acquisizione di «adeguati strumenti culturali, sociali e spirituali perché i meccanismi del processo decisionale non si inceppino e si finisca, magari per paura di sbagliare, a subire il cambiamento anziché guidarlo» (cap. I, par. 2). È facile riconoscere qui una provocazione per qualsiasi istituzione educativa, anche al di fuori del perimetro ecclesiale, a partire dal mondo della scuola: è in gioco infatti la capacità di raggiungere il proprio scopo, che non è solo la trasmissione di conoscenze e competenze, ma il servizio al percorso di formazione di persone davvero adulte e di cittadini maturi, capaci cioè di scegliere e di assumersi responsabilità e impegni duraturi.
Il DP non evidenzia solo problemi, ma anche risorse e opportunità, a partire da alcune caratteristiche delle attuali giovani generazioni, quelle talvolta chiamate “millennial”, come la disponibilità a impegnarsi in progetti concreti di miglioramento dell’ambiente e della società, e mettere alla prova le proprie capacità, acquisendo sul campo nuove competenze.
Quale vocazione?
Le ricchezze della tradizione spirituale cristiana non contengono risposte preconfezionate alle domande dei giovani, o indicazioni che richiedono solo di essere ricevute e attuate, ma
offrono risorse con cui accompagnarli in una ricerca che, per rispetto della loro libertà, non può che mantenersi aperta riguardo ai suoi esiti. Il DP lo ribadisce nell’Introduzione con le parole del Messaggio indirizzato ai giovani dal Concilio Vaticano II, l’8 dicembre 1965: «La Chiesa è consapevole di possedere “ciò che fa la forza e la bellezza dei giovani: la capacità di rallegrarsi per ciò che comincia, di darsi senza ritorno, di rinnovarsi e di ripartire per nuove conquiste”».
In modo certamente appropriato ai destinatari a cui si rivolge e coerentemente con il tema del Sinodo, il DP ricorre qui al lessico della vocazione. Specie a una lettura superficiale, esso rischia però di suonare esclusivamente confessionale al di fuori della cerchia della comunità cristiana e stereotipato al suo interno. Vale dunque la pena soffermarsi sullo svolgimento del discorso, che si impernia su due capisaldi antropologici.
Il primo è che
la vocazione va intesa come una chiamata fondamentale alla gioia, che si specifica e si realizza in una forma concreta. Contro ogni pessimismo e rassegnazione, l’antropologia cristiana è convinta che la pienezza e il compimento di sé non siano una vana utopia, ma una possibilità alla portata di ciascuno, a patto di scoprire la modalità personale concreta per raggiungerli. Il desiderio è dunque una preziosa sorgente di energia che sostiene il percorso di ricerca, che va valorizzato e non sopito, sedato o ingannato con surrogati della gioia, come quelli offerti dalla società consumistica (cfr LS, nn. 113 e 204).
Il secondo caposaldo è la convinzione, radicata nella fede, che
«
la libertà umana, pur avendo bisogno di essere sempre purificata e liberata, non perde tuttavia mai del tutto la radicale capacità di riconoscere il bene e di compierlo» (cap. II, par. 1). È questo lo spazio della coscienza, che, nelle parole del Concilio, «è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità» (
Gaudium et spes, n. 16). Al suo interno si manifesta l’invito ad accogliere una promessa di pienezza e una chiamata alla gioia dell’amore. Questa dinamica riguarda tutti i giovani, nessuno escluso, a prescindere da adesioni confessionali, così come a tutti i giovani è diretta l’intenzione di cura della Chiesa, perché possano vivere questa esperienza.
Il metodo del discernimento
L’atteggiamento di fiducia antropologica radicata nella fede che i due capisaldi esprimono è la base del metodo che il DP propone come strumento per l’accompagnamento vocazionale, ossia il discernimento. Non sfuggirà la profonda continuità con il percorso tracciato dal precedente Sinodo e riproposto alla Chiesa attraverso l’esortazione apostolica
Amoris laetitia, che proprio al ruolo della coscienza e all’esercizio del discernimento ha dedicato pagine di particolare intensità.
Nella tradizione della spiritualità cristiana,
il discernimento è il metodo attraverso cui mettere a fuoco la forma concreta che l’universale chiamata alla gioia dell’amore assume nella vita di ciascuna persona, rispettandone l’originalità ma senza isolarla dalla comunità di cui fa parte o dalle esigenze della legge morale. Il DP scandisce i passi del discernimento attraverso i tre verbi con cui lo descrive il n. 51 dell’esortazione
Evangelii gaudium –
riconoscere, interpretare e scegliere –, ben sapendo che nella pratica i confini tra le diverse fasi non sono mai così netti.
Il riconoscere consiste nella presa di consapevolezza che gli avvenimenti della vita, gli incontri con le persone e gli stimoli provenienti dall’esterno producono un effetto sull’interiorità personale, che si manifesta in una grande varietà di «desideri, sentimenti, emozioni» (AL, n. 143), che premono e spingono in direzioni diverse. Le persone, e in particolare i giovani, hanno talvolta l’impressione di trovarsi in balia di forze potenti e contraddittorie, o di vivere una vera e propria lotta interiore. La paura può spingere a cercare di sopire o ignorare questi movimenti, così come forte può essere la tentazione di farne oggetto di un giudizio moralistico troppo veloce ed esterno. Il discernimento li utilizza invece come punto di partenza, prendendo il tempo per farli emergere e nominarli.
Si può così passare alla
fase dell’interpretare, cioè dell’identificazione della direzione verso cui orientare i propri passi a partire dai movimenti della propria interiorità: tra le tante possibilità, qual è il percorso verso la mia pienezza? Dove si trova la mia gioia? Si tratta di una fase più riflessiva, che richiede il confronto con quanto è realisticamente possibile, sfuggendo al rischio dell’astrazione, e soprattutto con la sapienza veicolata dalla cultura e, in particolare, dall’etica. Il discernimento non pretende infatti di rimpiazzare o ignorare la norma, ma la valorizza all’interno di un percorso, permettendone un’assunzione non moralistica. Come afferma il DP, la dinamica del discernimento spinge «a non accontentarsi della logica legalistica del minimo indispensabile, per cercare invece il modo di valorizzare al meglio i propri doni e le proprie possibilità: per questo risulta una proposta attraente e stimolante per i giovani» (cap. II, par. 2).
Il terzo passo – scegliere – sottolinea l’importanza del passaggio all’azione, dando inizio a un percorso che fornirà elementi per una verifica della bontà della decisione in base a un atteggiamento di costante discernimento.
È richiesta l’assunzione di un rischio, quello di sbagliare, che rappresenta un passaggio obbligato per non rimanere paralizzati dalla paura. In questa fase la fiducia nella capacità di compiere il bene e nella possibilità di raggiungere la gioia acquisisce una portata esistenziale, oltre a quella di caposaldo antropologico.
Esaminato nei suoi passaggi,
il metodo del discernimento che il DP propone alla Chiesa di adottare per accompagnare i giovani
si rivela una proposta di umanesimo integrale, capace di valorizzare tutte le capacità e le facoltà della persona, sottraendo il processo di decisione ai due rischi a cui la cultura dominante lo espone: da una parte la fiducia in una razionalità tecnocratica animata dalla logica della convenienza anziché del bene e della gioia, che sempre più spesso viene immaginata sul paradigma impersonale degli algoritmi dei sistemi informatici; dall’altra lo spontaneismo, che conferisce all’immediatezza dell’emozione, a monte della sua interpretazione, la patente di criterio di riferimento definitivo, precipitando la persona e i suoi legami nella volubilità. Il discernimento è dunque un metodo che ha una precisa spendibilità non solo sul piano strettamente personale: il DP lo sottolinea, affermando che si tratta di «un itinerario adatto tanto per i singoli quanto per i gruppi e le comunità» (
ivi).