Il prossimo autunno i cittadini italiani saranno chiamati a un voto importante: il referendum sull’approvazione o bocciatura della riforma costituzionale, promossa dal Governo Renzi e approvata dal Parlamento ad aprile scorso, che prevede significative modifiche della Parte II della nostra Costituzione. In particolare, la riforma interviene sulla composizione e le competenze dell’attuale Senato, che è trasformato in una Camera delle Autonomie territoriali, non deve più votare la fiducia al Governo e approva solo alcuni tipi di leggi.
Queste modifiche segnano la fine del cosiddetto bicameralismo perfetto (presente solo in Italia), ossia l’attribuzione di identiche competenze alle due Camere del Parlamento. Altro punto cruciale è la riscrittura delle disposizioni che regolano i rapporti tra lo Stato e le Regioni (Titolo V). La riforma, infine, prevede la soppressione della menzione delle Province nel testo costituzionale e quella del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL).
Il valore fondativo della Carta costituzionale
Una Costituzione non è certo un testo legislativo come gli altri. Posta a fondamento del vivere insieme di una nazione, essa è la traduzione a livello normativo del comune patrimonio di valori su cui è costruita la società di un Paese e le sue istituzioni. In una Carta costituzionale si ritrovano perciò le indicazioni basilari sul modo in cui è concepito il bene dell’intera comunità nazionale e le forme attraverso cui può essere promosso, il riconoscimento e la tutela dei diritti e dei doveri che fanno capo ai singoli o ai soggetti collettivi (associazioni, partiti, sindacati,…). In una Costituzione, poi, è definita la forma di Stato in cui si vive (Stato unitario o federale, democratico, autoritario, socialista) e le relazioni esistenti tra gli organi istituzionali (in particolare tra Capo dello Stato, Governo e Parlamento) in vista della formulazione e attuazione dell’indirizzo politico.
Il nostro Stato, così come delineato nella Costituzione approvata nel 1948 (nella foto, il capo provvisorio dello Stato, Enrico De Nicola, firma la Costituzione italiana) è il frutto dell’incontro di diverse visioni del bene comune e dell’uomo. All’interno dell’Assemblea Costituente erano, infatti, presenti in particolare tre “anime” (cattolica, comunista-socialista e liberale), che trovarono un accordo, tradotto poi nel testo costituzionale, per la costituzione di uno Stato democratico, con una forma di governo di tipo parlamentare e il riconoscimento dell’importanza delle autonomie locali attraverso la creazione delle Regioni ordinarie e a statuto speciale, una vera e propria novità nel panorama giuridico del tempo. La riforma costituzionale non tocca la Parte I della Costituzione, in cui sono disciplinati i principi fondamentali del nostro Stato, nonché i diritti e i doveri dei cittadini, ma modifica in modo rilevante la Parte II, che detta le regole delle nostre istituzioni.
Le modifiche alla Costituzione italiana
Il rilievo della Costituzione è tale che eventuali modifiche possono essere realizzate solo seguendo una procedura aggravata, prevista nell’art. 138 Cost. e seguita anche per l’approvazione dell’attuale riforma costituzionale. Questo iter speciale è previsto per evitare che il testo normativo fondamentale del nostro Paese possa essere cambiato senza un’adeguata e condivisa riflessione.
Nel corso di circa 70 anni dall’entrata in vigore della Costituzione, le leggi di revisione sono state poche e hanno riguardato un numero ristretto di articoli. Tra le più recenti possiamo richiamare la previsione dell’elezione diretta dei Presidenti delle Regioni (1999), l’istituzione delle circoscrizioni estero (2000), la riforma del Titolo V (2001), l’abolizione della pena di morte anche nei casi previsti dalle leggi militari di guerra (2007), l’introduzione del principio del pareggio di bilancio (2012).
La riforma su cui dovremo esprimerci costituirebbe, se approvata nel referendum, l’intervento più importante di revisione della Costituzione fin qui realizzato sia per la quantità di articoli interessati sia per la qualità delle modifiche introdotte nel sistema parlamentare e nell’assetto regionale dello Stato. Il previsto supermento del bicameralismo perfetto e la revisione del Titolo V sono due nodi fondamentali, e tra loro legati, del nostro ordinamento, e vi è un generale consenso sulla necessità di riformarne la disciplina.
In effetti, questo testo di riforma è l’ultimo capitolo di una storia ormai lunga. Prima della recente iniziativa del Governo Renzi, un progetto organico di revisione della Parte II della Costituzione, volto a rafforzare i poteri dell’esecutivo e ad ampliare il federalismo, fu promosso dal Governo di centrodestra nel 2005. Approvata dal Parlamento, la riforma fu bocciata nel referendum popolare del 2006. In precedenza, il Parlamento aveva costituito apposite commissioni bicamerali (Bozzi, 1983-1985; De Mita-Iotti, 1993-1994; D’Alema, 1997) col compito di formulare proposte di revisione della Costituzione, ma i loro lavori non ebbero alcun seguito per la mancanza di un accordo tra i partiti. Più recentemente vi sono state le iniziative del comitato dei dieci saggi nominati dal presidente Napolitano e la riflessione avviata dal Governo Letta.
Tutti questi tentativi testimoniano che la necessità di una modifica del regime costituzionale è condivisa e si deve riconoscere che la riforma Renzi affronta i nodi cruciali. La questione che si pone, e su cui torneremo nei prossimi articoli, è se le scelte operate siano valide e si è concordi con la configurazione della forma di Stato e di forma di governo ne risulta.