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L’ecologia integrale/1 - Un paradigma concettuale

Da un punto di vista concettuale, papa Francesco assume il termine “ecologia” non nel significato generico e spesso superficiale di una qualche preoccupazione “verde”, ma in quello ben più profondo di approccio a tutti i sistemi complessi la cui comprensione richiede di mettere in primo piano la relazione delle singole parti tra loro e con il tutto. Il riferimento è all’immagine di ecosistema.

L’ecologia integrale diventa così il paradigma capace di tenere insieme fenomeni e problemi ambientali (riscaldamento globale, inquinamento, esaurimento delle risorse, deforestazione, ecc.) con questioni che normalmente non sono associate all’agenda ecologica in senso stretto, come la vivibilità e la bellezza degli spazi urbani o il sovraffollamento dei trasporti pubblici. Ancora di più, l’attenzione ai legami e alle relazioni consente di utilizzare l’ecologia integrale anche per leggere il rapporto con il proprio corpo (n. 155), o le dinamiche sociali e istituzionali a tutti i livelli: «Se tutto è in relazione, anche lo stato di salute delle istituzioni di una società comporta conseguenze per l’ambiente e per la qualità della vita umana [...]. In tal senso, l’ecologia sociale è necessariamente istituzionale e raggiunge progressivamente le diverse dimensioni che vanno dal gruppo sociale primario, la famiglia, fino alla vita internazionale, passando per la comunità locale e la Nazione» (142).

La potenza del paradigma dell’ecologia integrale appare nella sua capacità di analisi, e quindi di rintracciare una radice comune a fenomeni che, presi separatamente, non possono essere davvero compresi: «Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale. Le direttrici per la soluzione richiedono un approccio integrale per combattere la povertà, per restituire la dignità agli esclusi e nello stesso tempo per prendersi cura della natura» (n. 139). In altre parole, «non possiamo fare a meno di riconoscere che un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri» (n. 49).

Il frutto di questa potenza analitica è produrre integrazione anche tra i livelli su cui si giocano le risposte operative: «La cultura ecologica non si può ridurre a una serie di risposte urgenti e parziali ai problemi che si presentano riguardo al degrado ambientale, all’esaurimento delle riserve naturali e all’inquinamento. Dovrebbe essere uno sguardo diverso, un pensiero, una politica, un programma educativo, uno stile di vita e una spiritualità che diano forma ad una resistenza di fronte all’avanzare del paradigma tecnocratico» (n. 111).

Questa impostazione permette di integrare e comprendere appienola portata anche delle piccole azioni quotidiane di attenzione all’ambiente che papa Francesco ci propone: «evitare l’uso di materiale plastico o di carta, ridurre il consumo di acqua, differenziare i rifiuti, cucinare solo quanto ragionevolmente si potrà mangiare, trattare con cura gli altri esseri viventi, utilizzare il trasporto pubblico o condividere un medesimo veicolo tra varie persone, piantare alberi, spegnere le luci inutili, e così via» (n. 211). Quando partono da motivazioni profonde, questi gesti non sono “ascetici doveri verdi”, ma atti d’amore che esprimono la nostra dignità.

L’ecologia integrale si rivela altrettanto potente come strumento di analisi delle resistenze che si oppongono a un’autentica cura della casa comune,. È il caso della logica scientifica e tecnologica: la sua applicazione – riconosce a più riprese l’enciclica – ha prodotto risultati straordinari di miglioramento della vita umana, ma quando viene assuntacome «paradigma omogeneo e unidimensionale» (n. 106) genera un «riduzionismo che colpisce la vita umana e la società in tutte le loro dimensioni» (n. 107), di cui il degrado ambientale è solo una delle conseguenze. Ciò che il paradigma tecnocratico perde di vista è proprio la complessità dei legami e delle interazioni, che sono invece al centro di uno sguardo ecosistemico; ad esempio, «La tecnologia che, legata alla finanza, pretende di essere l’unica soluzione dei problemi, di fatto non è in grado di vedere il mistero delle molteplici relazioni che esistono tra le cose, e per questo a volte risolve un problema creandone altri» (n. 21).

La seconda resistenza che l’enciclica evidenzia è l’eccesso di antropocentrismo del mondo contemporaneo, che «continua a minare ogni riferimento a qualcosa di comune e ogni tentativo di rafforzare i legami sociali» (n. 116). Solo lo sguardo dell’ecologia integrale sfugge alla «schizofrenia permanente, che va dall’esaltazione tecnocratica che non riconosce agli altri esseri un valore proprio, fino alla reazione di negare ogni peculiare valore all’essere umano» (n. 118); in entrambi i casi, svanisce la responsabilità umana, che appare invece evidente quando si considera il posto che l’essere umanooccupa nella trama delle relazioni ecosistemiche.

Infine, l’ecologia integrale smaschera i limiti di iniziative ecologiste troppo settoriali e parcellizzate, che rinunciano ad assumere un’ottica sistemica e «possono finire rinchiuse nella stessa logica globalizzata. Cercare solamente un rimedio tecnico per ogni problema ambientale che si presenta, significa isolare cose che nella realtà sono connesse, e nascondere i veri e più profondi problemi del sistema mondiale» (n. 111). Pur con le migliori intenzioni, il rischio è alimentare una «ecologia superficiale» (n. 59) che finisce per lasciarsi catturare «all’interno della logica della finanza e della tecnocrazia» (n. 194). Invece, «Una strategia di cambiamento reale esige di ripensare la totalità dei processi, poiché non basta inserire considerazioni ecologiche superficiali mentre non si mette in discussione la logica soggiacente alla cultura attuale» (n. 197).



Giacomo Costa SJ e Paolo Foglizzo

18 giugno 2015
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