Nel discorso tenuto al Convegno di Firenze il 10 novembre 2015, papa Francesco ha invitato la Chiesa italiana ad approfondire l’esortazione apostolica
Evangelii gaudium (2013, EG) come strumento per scoprire e realizzare la propria missione nel contesto del nostro Paese, e in particolare
«l’inclusione sociale dei poveri, che hanno un posto privilegiato nel popolo di Dio, e la capacità di incontro e di dialogo per favorire l’amicizia sociale nel vostro Paese, cercando il bene comune»
[1]. In quella occasione non ha invece fatto riferimento alla più recente enciclica
Laudato si’ (2015, LS). Ma non possiamo certo pensare che la ragione sia che la cura della casa comune è irrilevante per la nostra Chiesa e il nostro Paese.
In realtà i documenti del Magistero non sono programmi informatici, l’ultima versione dei quali assorbe le precedenti e le rende obsolete: EG e LS restano entrambe al centro dell’attenzione. Anzi, il fatto che il Papa stesso rinvii ora all’una ora all’altra ci aiuta a mettere a fuoco come i due documenti vadano letti insieme, utilizzando l’uno per interpretare l’altro. Non sono pochi gli indizi di questo legame. Ad esempio,
il termine “gioia”, centro focale di EG, ricorre 8 volte in LS, di cui una
(n. 10) come attributo di quell’ecologia integrale che dell’enciclica è un po’ la cifra e di cui san Francesco è il modello. Ugualmente LS riprende e incorpora nella propria argomentazione i quattro principi proposti dal cap. IV di EG: «il tempo è superiore allo spazio» (LS, n. 178), «l’unità è superiore al conflitto» (LS, n. 198), «la realtà è superiore all’idea» (LS, n. 201), «il tutto è superiore alla parte» (LS, n. 141).
La tesi che questo studio propone è che i legami tra i due testi siano più profondi e strutturanti di quanto appaia a una prima lettura e da queste semplici citazioni o rimandi. Alcuni principi fondamentali di EG permettono di focalizzare meglio il progetto della LS e le motivazioni che la animano. L’ipotesi è che da una parte EG possa svolgere il ruolo di “stele di Rosetta” per la decifrazione ecclesiale della LS, offrendo in modo esplicito quell’orizzonte motivazionale e di fede che LS deliberatamente si limita ad accennare. D’altra parte LS, che dichiaratamente fa parte del corpus della dottrina sociale (cfr n. 15), offre una struttura organica, anzi un vero e proprio paradigma di giustizia appropriato al nostro tempo, in cui è possibile collocare stimoli e intuizioni che EG presentava in modo più rapsodico, coerentemente con il fatto di non essere «un documento sociale» (EG, n. 184).
Scopo di queste pagine è innanzitutto chiarire l’indole dei due documenti, utilizzando la loro differenza per far emergere come l’immagine del poliedro, enunciata in EG e agita in LS, strutturi la concezione del rapporto Chiesa-mondo di papa Francesco. Proseguiremo iniziando a mostrare come il ricorso a EG consenta di illuminare la profondità di alcuni passaggi che LS si limita ad accennare, in un percorso di ricerca che continuerà nel prossimo numero. Rinviamo invece a un successivo contributo la rilettura della parte sociale di EG alla luce del paradigma di giustizia formulato in LS.
A chi si rivolgono i due documenti?Per tradizione, coerentemente con la loro natura di lettera, le encicliche cominciano con l’indicazione del mittente (il Pontefice) e dei destinatari. Si tratta di un elemento per molti versi protocollare, che spesso riceve scarsa attenzione, tanto da essere omesso in molte edizioni, persino sul sito del Vaticano. Limitandoci al corpus della dottrina sociale, per i primi 70 anni, dalla
Rerum novarum di Leone XIII (1891) alla
Mater et magistra di Giovanni XXIII (1961), l’indicazione dei destinatari è sostanzialmente costante: «Ai venerabili fratelli patriarchi, primati, arcivescovi, vescovi, e agli altri ordinari locali che sono in pace e comunione con la Sede apostolica»; si tratta dunque di documenti almeno formalmente destinati all’interno della compagine ecclesiale, anzi, alla sola gerarchia, a cui poi è affidata la successiva divulgazione. Coerentemente con gli sviluppi dell’ecclesiologia e della riflessione sul rapporto Chiesa-mondo, Giovanni XXIII opera una significativa innovazione, rivolgendo la Pacem in terris (1963) non solo alla gerarchia cattolica, ma anche «al clero e ai fedeli di tutto il mondo nonché a tutti gli uomini di buona volontà». Pur con qualche riformulazione, significativa soprattutto a livello ecclesiologico, questo rimane lo standard fino alla
Caritas in veritate (2009): il messaggio è dunque ugualmente rivolto alla Chiesa nel suo insieme e a quanti non ne fanno parte, ma sono interessati ad ascoltarlo.
LS si stacca da questa tradizione: il titolo
«Lettera enciclica sulla cura della casa comune» non è accompagnato da alcuna indicazione di destinatari. Papa Francesco si rivolge dunque a «tutti»
(cfr n. 3), a prescindere dall’appartenenza ecclesiale.
Anzi, secondo il
n. 62 i primi destinatari dell’enciclica sono addirittura «gli uomini di buona volontà» che non fanno parte della compagine ecclesiale: solo così ha senso che il Papa senta il bisogno di giustificare l’introduzione di argomentazioni provenienti dalla tradizione biblica e teologica, per quanto possa comunque apparire sorprendente. Anche se questa intenzione non è assunta fino in fondo in tutto il testo, LS si propone come il primo documento magisteriale rivolto innanzitutto a coloro che non fanno parte della Chiesa e solo in seconda battuta ai suoi membri. Forse questo spiega anche perché la sua ricezione sia stata spesso entusiastica al di fuori della Chiesa e più guardinga al suo interno: se l’obiettivo era trovare un modo efficace per comunicare
ad extra, il risultato è stato raggiunto. Dunque per il magistero di papa Francesco il messaggio della Chiesa non può essere veicolato con lo stesso linguaggio e lo stesso discorso quando è rivolto al proprio interno oppure verso l’esterno.
Anche EG, che non è un’enciclica ma una esortazione apostolica, comincia indicando i destinatari a cui è rivolta, rivelando un’intenzione completamente diversa. Il documento si dirige «ai vescovi, ai presbiteri e ai diaconi, alle persone consacrate e ai fedeli laici», come del resto è coerente con l’argomento,
l’«annuncio del Vangelo nel mondo attuale»
[2]. Al contrario di LS,
EG è dunque un documento rivolto esclusivamente al corpo della Chiesa
(cfr n. 3), nelle sue diverse componenti e articolazioni. Per questo appare più che logico che ad essa abbia fatto riferimento il Papa prendendo la parola al Convegno nazionale della Chiesa italiana.
L’esame di alcune occorrenze lessicali particolarmente indicative ci offre una conferma: il termine “Vangelo” è usato solo 7 volte in LS, contro le 121 di EG, in cui l’aggettivo “evangelico”, che non appare mai in LS, ricorre ben 223 volte. Il nome “Gesù” compare 21 volte in LS e l’appellativo “Cristo” 12 (l’espressione “Gesù Cristo” una sola volta); in EG le ricorrenze sono 132 per Gesù e 105 per Cristo (in 45 casi appaiono insieme).
Non stupisce quindi che a un orecchio strettamente ecclesiale LS possa suonare persino un po’ estranea, o quanto meno dare l’impressione di non contenere tutto quello che in prospettiva intra-ecclesiale ci si aspetterebbe di trovare: ma del resto LS non è né un trattato di ecologia cattolica – ammesso e non concesso che una cosa del genere esista, cosa che papa Francesco certamente non pensa –, né un manuale di “ecologia spiegata ai cattolici”.
Il poliedro e il rapporto Chiesa-mondo
Questa differenza è il portato di una concezione del rapporto Chiesa-mondo su cui vale la pena soffermarsi: si tratta di un orizzonte al cui interno situare la comprensione del magistero di papa Francesco, oltre che le riflessioni che seguono. La Chiesa è concepita come parte di un mondo più ampio, che l’enciclica chiama «casa comune», di cui fa parte e con cui entra in relazione.
Da questo scambio la Chiesa è arricchita
(cfr LS, n. 7) e al mondo essa offre il proprio contributo (cfr LS, n. 216) a un’impresa che sta a cuore a tutti: la cura della casa comune (cfr LS, n. 14). Si tratta di un contributo prezioso, anzi indispensabile, al pari di quello di
tutti i saperi e tutte le forme di saggezza che l’umanità ha elaborato (
cfr nn. 63 e 110), ma non è certo il solo a essere risolutivo. Anzi, è l’idea stessa che la soluzione possa venire da un unico punto di vista a costituire una parte del problema: «i problemi più complessi del mondo attuale, soprattutto quelli dell’ambiente e dei poveri, [...] non si possono affrontare a partire da un solo punto di vista o da un solo tipo di interessi» (LS, n. 110). Se, ad esempio,
l’enciclica è chiara nell’affermare che scienza e tecnologia non possono ritenere di essere detentrici della chiave unica e ultima di accesso alla realtà
[3], non lo fa certo per rivendicare quel ruolo alla teologia o alla Chiesa; infatti – aveva già affermato EG – «né il Papa né la Chiesa posseggono il monopolio dell’interpretazione della realtà sociale o della proposta di soluzioni per i problemi contemporanei» (EG, n. 184).
Si tratta della lezione conciliare sul rapporto Chiesa-mondo portata alle estreme conseguenze, ma soprattutto ricompresa attraverso l’immagine che papa Francesco propone nel n. 236 di EG: «Il modello non è la sfera, che non è superiore alle parti, dove ogni punto è equidistante dal centro e non vi sono differenze tra un punto e l’altro. Il modello è il poliedro, che riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità. [...] Persino le persone che possono essere criticate per i loro errori, hanno qualcosa da apportare che non deve andare perduto. È l’unione dei popoli, che, nell’ordine universale, conservano la loro peculiarità; è la totalità delle persone in una società che cerca un bene comune che veramente incorpora tutti».
Se la realtà è un poliedro
[4], la Chiesa non può concepirsi se non come una delle facce che lo costituiscono – è proprio una profonda comprensione della fede trinitaria che glielo chiede –, in una relazione vitale e dinamica con tutte le altre. È questa la logica profonda che anima l’intenzione comunicativa su cui è costruita l’enciclica: da questo punto di vista rappresenta un’attuazione coerente di una delle affermazioni programmatiche di EG: «Non voglio una Chiesa preoccupata di essere il centro» (EG, n. 49).
Possiamo misurare la distanza rispetto alle origini della dottrina sociale, che, per usare le parole della
Quadragesimo anno di Pio XI (1931), intendeva «additare la sola via di una salutare restaurazione, cioè la cristiana riforma dei costumi» (QA, n. 15), condotta «secondo i principi della sana filosofia e i precetti altissimi della legge evangelica che lo perfezionano» (QA, n. 77), ossia «secondo lo spirito della Chiesa» (QA, n. 126). Ma possiamo anche apprezzare il cammino percorso a partire dal Concilio e dalla
Gaudium et spes (1965), che propone una regolazione dottrinale delle questioni concrete affrontate nella seconda parte (famiglia e matrimonio, cultura, vita economico-sociale, politica e comunità internazionale) sulla base della prima, dedicata all’esplicitazione dell’antropologia cristiana.
All’interno di un universo omogeneo e unidimensionale, al cui centro si trova una dottrina antropologica teologicamente fondata, nessuna singolarità (cultura, popolo, lingua) è oggetto di attenzione
[5]
Un ascolto che accomuna tuttiSe, come abbiamo visto, LS può articolare il suo discorso, rivolto a un mondo che in larga maggioranza non fa parte della Chiesa, in termini per molti versi poco ecclesiali, è perché è costruita sul fondamento di EG, che alla Chiesa è interamente dedicata. A quest’ultima occorre dunque ricorrere per svolgere l’implicito ecclesiale di LS. Lo mostreremo in un caso che, per la pregnanza tematica, non può essere considerato semplicemente esemplificativo, ma davvero esemplare.
LS prende le mosse dallo sguardo sulla bellezza della creazione (cfr LS, n. 1) e dall’ascolto di un drammatico grido: la terra, nostra madre e nostra sorella, «protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei» (LS, n. 2). L’intera enciclica può essere considerata un approfondimento, sotto una molteplicità di prospettive, delle radici e delle implicazioni di questo sguardo e di questo ascolto, con l’obiettivo di convincere l’umanità intera ad assumere un atteggiamento contemplativo nei confronti della creazione e contemporaneamente a passare a una più decisa azione in risposta «tanto [al] grido della terra quanto [al] grido dei poveri» (LS, n. 49). In fin dei conti si tratta dello stesso grido: da un parte, infatti, è sui poveri che si abbattono le conseguenze più catastrofiche del degrado ambientale (cfr LS, n. 25), dall’altra «fra i poveri più abbandonati e maltrattati, c’è la nostra oppressa e devastata terra» (LS, n. 3).
Papa Francesco non pretende certo di essere il primo ad accorgersene; anzi, fin dall’inizio dichiara di «esprimere riconoscenza, incoraggiare e ringraziare tutti coloro che, nei più svariati settori dell’attività umana, stanno lavorando per garantire la protezione della casa che condividiamo. Meritano una gratitudine speciale quanti lottano con vigore per risolvere le drammatiche conseguenze del degrado ambientale nella vita dei più poveri del mondo» (LS, n. 13). In particolare i giovani «esigono da noi un cambiamento. Essi si domandano com’è possibile che si pretenda di costruire un futuro migliore senza pensare alla crisi ambientale e alle sofferenze degli esclusi» (
ivi).
La gravità della situazione è sotto gli occhi di tutti, non solo del Papa o della Chiesa: «Basta [...] guardare la realtà con sincerità per vedere che c’è un grande deterioramento della nostra casa comune» (LS, n. 63). L’enciclica sottolinea però anche come
molti – forse la maggioranza – non siano disponibili a prenderne consapevolezza
(cfr LS, n. 59). La ricerca di soluzioni è ostacolata da atteggiamenti che «vanno dalla negazione del problema all’indifferenza, alla rassegnazione comoda, o alla fiducia cieca nelle soluzioni tecniche» (LS, n. 14).
È un problema che riguarda anche i cristiani
(cfr LS, n. 217). La minaccia che l’indifferenza rappresenta per la capacità delle persone e delle società di riconoscere il bene e di compierlo è un autentico assillo di papa Francesco, che non a caso vi ha dedicato un’analisi approfondita e al tempo stesso accorata nel recente
Messaggio per la Giornata mondiale della pace 2016
[6] .
Di fronte a questa situazione occorre reiterare la motivazione ad ascoltare il grido della terra e dei poveri e a cambiare rotta, che è tanto semplice quanto stringente: vista la profonda interrelazione che lega il pianeta e tutti gli esseri viventi che lo abitano, è l’unico modo per «uscire dalla spirale di autodistruzione in cui stiamo affondando» (LS, n. 63). Si tratta di un’argomentazione condivisibile da tutti, a prescindere da qualunque riferimento di fede, ma che, proprio per questo, può lasciare i credenti delusi di non trovare qualcosa di più specifico.
Le motivazioni della fede cristianaAnche la necessità che i cristiani lascino «emergere tutte le conseguenze dell’incontro con Gesù nelle relazioni con il mondo che li circonda»
(cfr LS, n. 217) è poco più di un sobrio accenno. La ragione è che il tema trova pieno svolgimento in EG, in coerenza con il suo essere un documento rivolto ai membri della Chiesa. Anche in questo caso il lessico ci offre una pista: l’ascolto del grido dei poveri – tra i quali, lo abbiamo visto, va annoverata anche la terra – è infatti un elemento strutturante dell’argomentazione del cap. IV di EG, intitolato «La dimensione sociale dell’evangelizzazione» e dedicato ad approfondire il rapporto intrinseco tra confessione della fede e annuncio del Vangelo, da una parte, e impegno sociale, dall’altra.
Limitandoci a una sintesi, come dimostrano i
nn. 186-192 di EG, i cristiani sono tenuti ad ascoltare il grido dei poveri perché così si comporta il Dio in cui hanno fede. È questa la radice teologica della «intima connessione tra evangelizzazione e promozione umana, che deve necessariamente esprimersi e svilupparsi in tutta l’azione evangelizzatrice» (EG, n. 17), e del fatto che
«il servizio della carità è una dimensione costitutiva della missione della Chiesa ed è espressione irrinunciabile della sua stessa essenza» (EG, n. 179)
[7] . Esso «implica sia la collaborazione per risolvere le cause strutturali della povertà e per promuovere lo sviluppo integrale dei poveri, sia i gesti più semplici e quotidiani di solidarietà di fronte alle miserie molto concrete che incontriamo» (EG, n. 188).
Nel compiere tale servizio della carità, la Chiesa e i cristiani ne scoprono una ragione ancora più profonda e preziosa: dare ascolto e risposta al grido dei poveri e della terra apre le porte all’incontro con Dio. L’opzione preferenziale per i poveri non si esaurisce nell’esercizio del dovere di carità nei loro confronti, ma instaura una circolazione di gratuità bidirezionale: i poveri infatti «hanno molto da insegnarci. Oltre a partecipare del
sensus fidei, con le proprie sofferenze conoscono il Cristo sofferente. È necessario che tutti ci lasciamo evangelizzare da loro. La nuova evangelizzazione è un invito a riconoscere la forza salvifica delle loro esistenze e a porle al centro del cammino della Chiesa. Siamo chiamati a scoprire Cristo in loro, a prestare ad essi la nostra voce nelle loro cause, ma anche ad essere loro amici, ad ascoltarli, a comprenderli e ad accogliere la misteriosa sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro» (EG, n. 198).
Ce lo ricorda anche LS, quando afferma che «c’è un mistero da contemplare in una foglia, in un sentiero, nella rugiada, nel volto di un povero» (LS, n. 233, sottolineando che questa convinzione non è patrimonio esclusivo del cristianesimo). Per questo i percorsi di conversione ecologica possono anche trasformarsi in occasione di conversione di fede. Al tempo stesso, contro ogni rischio di derive romantiche, LS ribadisce che riconoscere il valore dei poveri significa garantire loro di avere voce in capitolo nei processi decisionali di cui subiranno le conseguenze, ad esempio in materia di gestione del territorio e delle risorse naturali. Solo così la ricchezza della conoscenza di cui sono portatori non andrà sprecata, ma potrà entrare in fecondo dialogo con tutte le altre competenze in gioco.
Ricorrendo a EG è dunque possibile valorizzare la portata teologica ed esplicitare «come le convinzioni di fede offrano ai cristiani, e in parte anche ad altri credenti, motivazioni alte per prendersi cura della natura e dei fratelli e sorelle più fragili» (LS, n. 64). Si conferma così la validità di una lettura sinottica dei due documenti. In questa linea procederemo con il contributo che apparirà nel prossimo numero, che esaminerà il modo in cui LS recepisce i quattro principi che «orientano specificamente lo sviluppo della convivenza sociale e la costruzione di un popolo in cui le differenze si armonizzino all’interno di un progetto comune. […] la loro applicazione può rappresentare un’autentica via verso la pace all’interno di ciascuna nazione e nel mondo intero» (EG, n. 221). Per molti versi, LS si può interpretare come un caso concreto di questa applicazione: di certo un’autentica pace nella creazione intera rappresenta il suo obiettivo. Infine concluderemo cercando di mostrare come il senso complessivo di LS, che papa Francesco stesso definisce una «prolungata riflessione, gioiosa e drammatica insieme» (LS, n. 246), possa essere illuminato proprio dalle parole di EG su che cosa significhi la gioia del Vangelo e su come essa contraddistingua e permetta di riconoscere ogni azione rivolta al bene, e quindi anche la «cura della casa comune».
NOTE
1. Papa Francesco, Discorso all’Incontro con i rappresentanti del V Convegno nazionale della Chiesa italiana, Firenze, 10 novembre 2015.
2. È lo stesso elenco di destinatari a cui è rivolta l’enciclica Lumen fidei (2013), il cui tema, la fede, è altrettanto strettamente ecclesiale.
3. Cfr Costa G. – Foglizzo P., «Laudato si’: un’enciclica poliedro», in La Rivista del clero italiano, 7-8 (2015) 490.
4. Il poliedro in opposizione alla sfera come modello per la costruzione di una identità collettiva non omogeneizzante era già stato più volte proposto da Jorge Mario Bergoglio come arcivescovo di Buenos Aires: cfr ad es. Bergoglio J. M., Noi come cittadini noi come popolo. Verso un bicentenario in giustizia e solidarietà 2010-2016, Jaca Book–LEV, Milano–Città del Vaticano 2013 (ed. or. 2011) 67-69; come pontefice, Francesco ne estende l’applicazione dalla scala nazionale argentina a quella mondiale.
5. Cfr Costa G., «Il tutto e le parti: un nuovo umanesimo per la Chiesa italiana», in Aggiornamenti Sociali, 11 (2015) 728.
6. Papa Francesco, Messaggio per la celebrazione della XLIX Giornata mondiale della pace, 1° gennaio 2016, Vinci l’indifferenza e conquista la pace, 8 dicembre 2015.
7. Questa espressione di EG è una citazione di Benedetto XVI, Intima Ecclesiae natura, Lettera apostolica in forma di motu proprio sul servizio della carità, 11 novembre 2012.
CITAZIONILaudato si', n. 3 In questa Enciclica, mi propongo specialmente di entrare in dialogo con tutti riguardo alla nostra casa comune.
Laudato si', n. 7 Questi contributi dei Papi raccolgono la riflessione di innumerevoli scienziati, filosofi, teologi e organizzazioni sociali che hanno arricchito il pensiero della Chiesa su tali questioni. Non possiamo però ignorare che anche al di fuori della Chiesa Cattolica, altre Chiese e Comunità cristiane – come pure altre religioni – hanno sviluppato una profonda preoccupazione e una preziosa riflessione su questi temi che stanno a cuore a tutti noi.
Laudato si', n. 10 Credo che Francesco sia l’esempio per eccellenza della cura per ciò che è debole e di una ecologia integrale, vissuta con gioia e autenticità.
Laudato si', n. 59 Come spesso accade in epoche di profonde crisi, che richiedono decisioni coraggiose, siamo tentati di pensare che quanto sta succedendo non è certo. Se guardiamo in modo superficiale, al di là di alcuni segni visibili di inquinamento e di degrado, sembra che le cose non siano tanto gravi e che il pianeta potrebbe rimanere per molto tempo nelle condizioni attuali. Questo comportamento evasivo ci serve per mantenere i nostri stili di vita, di produzione e di consumo.
Laudato si', n. 62 Perché inserire in questo documento, rivolto a tutte le persone di buona volontà, un capitolo riferito alle convinzioni di fede? Sono consapevole che, nel campo della politica e del pensiero, alcuni rifiutano con forza l’idea di un Creatore, o la ritengono irrilevante, al punto da relegare all’ambito dell’irrazionale la ricchezza che le religioni possono offrire per un’ecologia integrale e per il pieno sviluppo del genere umano. Altre volte si suppone che esse costituiscano una sottocultura che dev’essere semplicemente tollerata. Tuttavia, la scienza e la religione, che forniscono approcci diversi alla realtà, possono entrare in un dialogo intenso e produttivo per entrambe.
Laudato si', n. 63 Se teniamo conto della complessità della crisi ecologica e delle sue molteplici cause, dovremmo riconoscere che le soluzioni non possono venire da un unico modo di interpretare e trasformare la realtà. È necessario ricorrere anche alle diverse ricchezze culturali dei popoli, all’arte e alla poesia, alla vita interiore e alla spiritualità. Se si vuole veramente costruire un’ecologia che ci permetta di riparare tutto ciò che abbiamo distrutto, allora nessun ramo delle scienze e nessuna forma di saggezza può essere trascurata, nemmeno quella religiosa con il suo linguaggio proprio.
Laudato si', n. 217 Tuttavia dobbiamo anche riconoscere che alcuni cristiani impegnati e dediti alla preghiera, con il pretesto del realismo e della pragmaticità, spesso si fanno beffe delle preoccupazioni per l’ambiente. Altri sono passivi, non si decidono a cambiare le proprie abitudini e diventano incoerenti.
Evangelii gaudium, n. 186 Dalla nostra fede in Cristo fattosi povero, e sempre vicino ai poveri e agli esclusi, deriva la preoccupazione per lo sviluppo integrale dei più abbandonati della società.